di Samuele Vegna
Ci siamo dimenticatə che cos’è la libertà, e come si conquista e come la si mantiene.
Stiamo assistendo impassibili a un assottigliarsi dei diritti lento ma costante e pensiamo che dirci le cose tra noi che alle libertà conquistate ci teniamo, facendo rimbombare nel vuoto pneumatico parole di chi ha il vuoto dentro e ha solo fame di potere, serva a qualcosa.
La dimostrazione più concreta è stata la manifestazione del 17 maggio contro l’odio a Roma, alla quale la partecipazione è stata ampliamente al di sotto delle aspettative (eravamo pochinə, diciamo), quando invece sarebbe stato giusto fare un gran casino allegro e gioioso, magari sotto un qualche palazzo del potere, e non stare lì a dirci le solite cose tra noi. Il fallimento della comunità arcobaleno è lapalissiano, doloroso e fa male allo stomaco. Ma oltre a questa delusione, il discorso si può ampliare in termini generali.
L’indifferenza e la distrazione ci vedranno presto, come popolo, ammanettati senza più il diritto di voto, impermeabili anche alle parole indegne di un presidente del senato che invitava, in soldoni, a non votare ai referendum dell’8 e 9 giugno.
Una strategia simile è agita persino in Rai, ma gli va male con i soliti giudici comunisti che si mettono in mezzo, in un paese che è di destra (non necessariamente perché vota a destra, almeno per la maggioranza dei due terzi che a votare continuano ad andare) e che in ottant’anni di Repubblica ha visto undici anni di sinistra al governo (sempre che Renzi sia considerabile come uomo di sinistra). La nostra libertà è in pericolo costante e deve essere costantemente curata, abbracciata, coccolata, controllata e nutrita.
Invece, la stiamo lasciando deperire, mentre piange, quando dovremmo salire sui tetti a gridare con lei, per lei, per noi.
(20 maggio 2025)
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