di Daniele Santi
Intrappolato nell’ennesima idea meravigliosa di quello zuzzerellone di Matteo Renzi – se perdi il nome ce l’hai messo tu, se vinciamo l’operazione l’ho inventata io – ecco Carlo Calenda infilarsi nell’ennesima avventura della sua non certo lunga, ma assai lucida, carriera politica.
Abbandonando il facile poltronismo (“Se avessi voluto vincere la poltrona, me ne sarei stato nel PD”, ha detto più volte) e dopo avere lanciato la manifestazione contro la Guerra di Milano versus quella di Roma, più importante semplicemente perché l’ha lanciata lui perché quanto si è unici lo si è in tutto ciò che si fa, condendo i suoi discorsi di una vinagrette acida che prende a sberle l’interlocutore ma lo fa per compassione, Calenda si lancia alla conquista della Lombardia con Letizia Moratti che secondo i sondaggi sarebbe l’unica a poter battere Fontana. L’operazione è confusa, vede protagonisti Calenda e Renzi e una parte del PD, la corrente di Base Riformista secondo alcuni commentatori, e del resto della coalizione possibile non v’è certezza anche se è difficile pensare che Forza Italia non salga sul carro-Moratti nel caso che…
Vinceranno? Non si sa. Le elezioni sono molto vicine, ma anche molto lontane come tutto ciò che si muove in politica in questo paese. Calenda da parte sua prosegue diritto per la sua strada rivendicando la coerenza delle sue azioni e l’attaccamento alle sue idee; la strategia, come insegna Meloni, alla lunga paga. E la politica ha tempi medio lunghi, nonostante sembri il contrario. E poi, soprattutto di questi tempi, c’è sempre il PD a cui poter dare la colpa dei proprio fallimenti, strategia inconcludente inaugurata proprio dalle parti del centro renzian-calendiano che guarda un po’ a chi è disponibile a destra come a sinistra.
E non è detto che la strategia, alla lunga, non sia quella vincente.
(6 novembre 2022)
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