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HomeGiustappunto!I teorici dell’auto-evirazione: fenomenologia di una sconfitta #giustappunto

I teorici dell’auto-evirazione: fenomenologia di una sconfitta #giustappunto

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di Vittorio Lussana

Figuriamoci se Alessandro Orsini, ospite nei giorni scorsi a Cartabianca da Berlinguer, non tirava una bordata contro la Farnesina. Secondo lui, il piano di pace presentato dall’Italia andava consegnato dalla nostra diplomazia prima di tutto ai russi, anziché anticiparne i contenuti alle Nazioni Unite. Le quali, di certo non potevano cadere dal pero in merito all’iniziativa: ma questo qui, dove caspita le va a prendere certe idee? E’ lui a essere la prima vittima di una strana sindrome di Stoccolma nei confronti della Federazione russa. Ma ci sono anche le goccette, se si soffre di depressione ansiogena: provasse a prenderle, il professor Orsini, così magari evita di teorizzare il panico, spacciandolo per competenza militare.

In secondo luogo, un piano di pace si presenta anche per rompere il ghiaccio tra due forze belligeranti e cominciare a misurare le distanze tra le varie posizioni. Anche quando le tempistiche sono calcolate male o a grandi linee. Alcune guerre del passato hanno visto un primo armistizio dopo anni: siamo noi quelli che continuiamo a ragionare secondo le tempistiche della propaganda, anziché avere l’umiltà di apprendere quelle tipicamente militari. Oltre a tutti questi errori, in questi giorni il professor Orsini non ha mai parlato della botta che i russi hanno preso sul fiume Severskij la settimana scorsa. Oppure del fatto che, avanzando di soli 3 chilometri al giorno, non solo essi non riescono a chiudere le forze ucraine dentro a una sacca – a causa del loro pachidermico sistema logistico – ma stanno sfarinando i battaglioni meccanizzati alla ricerca di un passaggio lungo tutto il fronte. Un varco che, al momento, ancora non sono riusciti a trovare. E la mini-sacca chiusa di recente nel Donbass, in realtà è frutto di un riposizionamento delle forze ucraine.

La Russia ha guadagnato del territorio, ma ha fatto pochissimi prigionieri. E in una guerra di posizione, quando il nemico si ritira di solito si riorganizza su un fronte più solido, poiché compatta le forze evitando di lasciarsi intrappolare nelle appendici territoriali. Quindi, era tutto sommato corretto presentare una prima bozza per un cessate il fuoco. E sarebbe anche il caso che Vladimir Putin cominciasse a pensare di fermarsi, perché per riuscire a ottenere qualcosa in più, da adesso in poi rischia una costosissima guerra di logoramento. Costosissima, sia dal punto di vista economico-finanziario, sia in termini di uomini.

Tornando al professor Orsini, egli continua ad affermare che tutti gli altri siano dei dilettanti, quando quello che commette degli evidenti errori di ingenuità, spesso e volentieri è proprio lui. Ma è proprio impossibile chiedere alla televisione italiana di rivedere questa obsoleta formula del talk show? Perché non si riesce a comprendere che mettere sullo stesso piano i fatti con le opinioni astratte significa continuare a replicare lo stesso errore già commesso durante la pandemia? Noi non crediamo che il settore dell’informazione italiana sia composto da imbecilli. Quindi, lo si sta facendo appositamente, per creare spettacolarizzazione e ottenere più audience.

Anche l’informazione relativa alla cosiddetta guerra del grano continua a essere infarcita da previsioni funeste: carestie, invasioni di cavallette, migranti a milioni e chi più ne ha, più ne metta. Certo: se si spara su Twitter che si sta cercando un modo per arrivare a un porto croato, è chiaro che i russi si allertino e siano disposti a far saltare l’operazione. E in tal senso, bene ha fatto il premier Draghi a contattare in questi giorni il Cremlino, al fine di evitare che proprio la Russia venisse giudicata dal resto del mondo come un Paese di ricattatori. Al momento, il problema principale è quello di evitare di buttar via migliaia di tonnellate di grano, lasciandole andare in malora’ E le soluzioni alternative ci sono, dato non esistono solamente i treni e che l’Ucraina ha uno scarto ferroviario più largo del nostro. Ci sono anche i fiumi, per esempio: si potrebbe far risalire le derrate tramite il Danubio, attraverso i porti fluviali di Romania e Bulgaria; oppure, passando per la Polonia, al fine di arrivare fino al porto di Danzica; oppure ancora a quelli della Lituania. E nel fare tutto questo c’è la cooperazione di tutto il mondo: persino la Cina sarebbe disposta a dare una mano, dato che anche loro, benché non lo dicano espressamente, hanno compreso che Putin ha generato un casino assurdo per riuscire a prendersi 4 case e un forno. Infine, c’è sempre la Turchia, che è comunque un Paese membro della Nato.

Tutta questa narrativa pro-Putin intendeva solamente proseguire una guerra di propaganda che ormai conosciamo. Una polemica condita da giudizi astratti e superati, che lasciano attoniti per l’eccessivo tasso ideologico utilizzato. Uno scontro frutto di una strana nostalgia nei confronti del nazionalismo novecentesco, che rischia di far precipitare la Russia verso il disastro economico: non basteranno le magie sul rublo per riuscire a mantenere alto il potere d’acquisto della moneta sui mercati interni. Non basteranno. E la Federazione russa rischia l’implosione.

Possibile non dica niente a nessuno il fatto che persino Giorgia Meloni si sia riposizionata su posizioni atlantiste? Possibile si continui a non capire in quale trappola si siano nuovamente cacciati sovranisti, fideisti e suprematisti? Solamente alla fine ci si renderà conto di aver innescato un processo di auto-evirazione? Quando sarà ormai troppo tardi? Siamo di fronte a un nichilismo autodistruttivo, che ha solamente evidenziato la crisi in cui si stanno dibattendo manicheismi e integralismi, colpevoli di diffondere una sfiducia a dir poco plumbea nei confronti dell’intera umanità.

Tutto quel che si è fatto per vaccinare milioni di persone in questi ultimi due anni ha rappresentato un’impresa a dir poco titanica: non basta il dileggio o un certo spirito di patate per minimizzarne la portata. Così come non basta limitarsi a lanciare uno slogan per fare politica estera, poiché si rischia solamente di rafforzare gli avversari. Il gioco lo si è ormai compreso: si è tentata un’offensiva assolutista e nichilista, da teorici del complotto. Anzi, da veri e propri cazzàri patologici. Un’offensiva che ha tentato di strumentalizzare ogni straccio di fatto, ogni evento, qualsiasi cosa, accelerando e trascinando verso la sconfitta un utilizzo scellerato di mezzi e tecnologie attuato al solo e unico scopo di imporre quella “rivoluzione reazionaria” che ha sempre rappresentato, sin dai tempi della scuola di Francoforte, nulla di più che una mera contraddizione in termini.

 

 

(27 maggio 2022)

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