di Marco Biondi
Dimenticando per qualche secondo che gli Stati Uniti sono una delle tre potenze economiche mondiali e che hanno rappresentato per anni, da un punto di vista militare, una sorta di poliziotto del mondo, pronti a intervenire – sempre e solo quando gli conveniva – in ogni angolo del mondo per destabilizzare Stati, favorire colpi di Stato, sostituire governi in nome della democrazia – anche se sempre secondo il loro punto di vista – quello che sta facendo Trump ultimamente altro non è che una serie di manovre mirate a proteggere e incrementare gli interessi economici del suo paese.
Detta così non sembrerebbe nemmeno un’accusa infamante, ma guardando più in profondità ed analizzando le modalità con le quali sta agendo, c’è invece molto di cui discutere.
La leva che Trump ha azionato principalmente è ovviamente quella dei dazi, sconvolgendo un equilibrio mondiale instaurato ormai da decenni che era invece basato se semplici criteri di convenienza economica. Se la soia prodotta negli Stati Uniti, a parità di qualità, costava meno di quella prodotta, ad esempio, in Argentina, chi ne aveva bisogno la comperava li, altrimenti no. Semplice, come qualunque rapporto commerciale.
Invece, il “nostro” direttore ha iniziato a mettere sbarramento alle importazioni con applicazione (o minaccia) di dazi proibitivi. Molti si sono spaventati e hanno deciso di spostare le loro produzioni negli States, (pare Stellantis compresa, che tristezza!); altri Paesi hanno pensato di adottare ritorsioni commerciali, ma, ahimè, sempre in perdita. Fino a che non si è giunti alla “trattativa”.
L’esempio di quella che si è appena conclusa tra Cina e States è emblematico. Io abbasso i dazi, ma tu, in compenso, mi vendi le terre rare che mi servono per produrre i motori elettrici. Ovviamente semplifico, ma il principio è più o meno quello. Quello che invece a molti non è chiaro, è quanto sta succedendo proprio nel commercio di merci “ad alto valore”.
C’è un interessante articolo di Federico Rampini sul Corriere.it del 31 ottobre che racconta di come sia successo che gli Stati Uniti, che detenevano il primato nella filiera che porta dall’estrazione delle terre rare alla produzione di magneti ad alta tecnologia, abbiano nel tempo perso quella posizione a favore della Cina. Fatto sta che la Cina ha oggi un controllo molto ampio su questa catena: detiene il 70% dell’estrazione globale di terre rare (anche in altri continenti), il 90% della raffinazione e separazione chimica, e più del 90% della produzione di magneti a base di terre rare e sta utilizzando questa posizione – così gentilmente concessa negli anni proprio dagli Stati Uniti in nome di una supposta efficienza e di profitto miope mirato al breve periodo – come strumento di pressione e di baratto.
Come qualsiasi buon direttore commerciale, Trump ha negoziato con la Cina questo “scambio equo” di riduzione dei dazi in cambio di “concessione” di importazione di terra rare. Alla fine bisogna ammettere che i suoi interessi è capace di farseli.
C’era però un altro argomento sul tavolo, degno di un candidato al premio Nobel per la pace: accordi per mettere ulteriore pressione alla Russia e farle terminare quella guerra infame di aggressione nei confronti dell’Ucraina. Ma forse era finito il tempo a disposizione e il nostro Direttore non ne ha parlato. Che peccato. Quindi “terre rare” in cambio anche di morti in Ucraina? Materiale per la commissione che dovrà assegnare il prossimo Nobel per la pace. E io vomito.
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(1 novembre 2025)
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