di Vittorio Lussana
Alcune sere fa, la professoressa Donatella Di Cesare, docente di Filosofia teoretica all’Università “La Sapienza” di Roma, ospite a Di martedì, la trasmissione condotta da Giovanni Floris su La7, non ha saputo spiegare la differenza tra marxismo e nazionalsocialismo: si è confusamente perduta nell’affermare, un po’ vagamente, che si tratta di “due visioni ben distinte del mondo”.
Fino a lì, ci arrivavano tutti. Ma da una docente universitaria ci attendevamo qualcosa di più. Per esempio, che chiarisse come il marxismo sia una filosofia che discende dall’hegelismo, mentre il nazionalsocialismo è un semplice metodo gerarchico, imperniato attorno al razzismo e alla superiorità della razza ariana su tutte le altre. Hitler fece persino una classifica delle razze, nel suo “Mein Kampf”. Un testo nel quale noi italiani non siamo neanche ben posizionati. Il nazionalsocialismo non era un regime di Stato di polizia, o una dittatura militare come il fascismo, ma un vero e proprio delirio razziale, in cui Alfred Rosenberg cercò di mettere ordine perché a Hitler uscivano frasi tutte scollegate tra loro e non si riusciva a formare un corpo unico dottrinario.
Rosenberg allora s’inventò la figura del “soggetto atomico privato”, cioè una forma di superomismo ariano dove tutti dovevano rispondere a un capo, trasformato in una sorta di divinità. Niente a che vedere con il singolo cittadino che regola i propri comportamenti secondo diritti e doveri, al fine di liberarsi dalle proprie catene, come nel liberalismo classico: non ci sono diritti nel nazismo, ma solo doveri.
Il marxismo, a sua volta, si basa sulla dittatura di una classe, il proletariato, su tutte le altre. E’ una filosofia modellata intorno a un’organizzazione collettiva del lavoro, che impone la dittatura delle maestranze. Non è una semplice “visione della Storia”, come ha detto De Cesare: quello è il versante culturale e storiografico, che andrebbe anche bene. E’ l’impostazione economica a essere sbagliata, perché il leader non può azzeccarle tutte. Il marxismo è fondamentalmente un hegelismo ribaltato, che parte dalla struttura per arrivare alla sovrastruttura, rinunciando alla libertà e a ogni forma di autonomia del singolo individuo.
Si tratta, in ambedue i casi, di ideologie aberranti. Il marxismo resta valido come visione della Storia, poiché fornisce una chiave di lettura del passato: “Un ottimo paio di occhiali”, era solito commentare Benedetto Croce. Ma la ricetta sul futuro, cioè l’economia pianificata, va nella direzione sbagliata, poiché tende a creare un altro Leviatano pachidermico e iperburocratizzato – lo Stato – il quale, alla lunga, non regge il confronto con altri modelli più snelli e maggiormente agili, in cui la libertà d’intrapresa possa incidere correggendo – o addirittura innovando – i vari metodi di produzione e di gestione aziendale.
C’è un esempio classico dei problemi economici prodotti dal marxismo: una vicenda realmente accaduta in Unione sovietica con la produzione in massa di una linea di motociclette rosse, durante gli anni dell’industrializzazione forzata. Esse ebbero successo e tutti le acquistarono. Allora l’Urss decise di raddoppiare la produzione, tentando di piazzare sul mercato interno anche quelle nere, a fianco di quelle rosse. Ma le motociclette nere rimasero invendute, producendo una perdita clamorosa, che non venne riassorbita neanche dalla vendita di quelle rosse, di cui il mercato era ormai saturo.
Cosa ci spiega questo episodio? Semplicemente, che Karl Marx era un economista classico, alla Ricardo, il quale non aveva fatto altro che riproporre lo schema dei rendimenti decrescenti: una legge econometrica generalmente applicata alla produzione agricola, che in termini di produzione industriale corrisponde alla caduta tendenziale del saggio di profitto. In pratica, in economia è meglio avere concorrenza, anziché un regime di monopolio dello Stato, il quale può solo ricoprire un ruolo di regolamentazione della concorrenza stessa, combattendo quella sleale e sottocosto, che comprime i diritti dei lavoratori. Al contrario, produrre in regime di concorrenza imperfetta (quella perfetta non esiste, ndr), oltre ad abbassare i prezzi delle merci, rappresenta quell’elemento di svolta in grado di dare risposte diversificate, imperniate anche su criteri di gusto e di prestazione del prodotto finito, dunque sulla qualità. Ed ecco come si arriva al rapporto qualità/prezzo, inteso nel vero senso matematico del problema.
La quantità materiale, il mero pragmatismo del monopolio di Stato, una volta soddisfatti i bisogni primari tende a ridurre i profitti e non consente di diversificare, anzi di differenziare, la produzione. Cosa che, invece, un regime composto da tante aziende medio-piccole riescono a fare. E’ il vero grande limite delle ideologie totalitarie, di tutte le ideologie totalitarie: la pesantezza dei modelli statalisti fortemente centralizzati, che rende la produzione poco dinamico, lentissima, scarsamente innovativa. Tutto ciò avviene anche nei modelli imperniati attorno all’oligopolio differenziato, cioè nei nostri sistemi misti mittle-europei. Proprio per questi motivi, le critiche mosse all’Unione europea sono poco motivate: è la globalizzazione a essere diventata un sistema schiacciante, poiché crea barriere di entrata sui mercati limitando fortemente la concorrenza, oltre a riproporre la consueta compressione del costo del lavoro.
Anche la globalizzazione ha fallito. E adesso c’è la tentazione a tornare indietro, verso i modelli nazionalisti e statalisti tradizionali. Sbagliando ulteriormente, perché l’operazione da fare, soprattutto di fronte ai cambiamenti climatici, è una riconversione macroeconomica, non politico-ideologica.
Le ideologie, ormai, c’entrano ben poco. Anzi, detto brutalmente, esse non esistono più: sono diventate dei meri ectoplasmi, fuoriusciti dal corpo di ogni modello industriale possibile o immaginabile. In finale: le ideologie sono morte, tutte quante. Compreso l’oligopolio differenziato; compresa la globalizzazione. Ed è perfettamente inutile sostituire un fantasma con un altro fantasma.
(5 maggio 2023)