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Più che un movimento politico, una battuta da bar che non fa più ridere

di Daniele Santi #Politica twitter@gaiaitaliacom #Governo

 

E così il buon Di Maio, leader in decadenza sempre più rapida del M5S che i suoi alleati lasciano governare per devastarlo e affinché ne emergano le complete, assolute, totale ed incontestabili incapacità, è ormai diventato un partito ufficiale a tutti gli effetti: del partito ufficiale, di quell’ufficialità che loro odiavano soltanto fino al 2013 (sei anni che sembrano un’era geologica), hanno i pochissimi pregi – con l’aggravante di essere una compagine di impresentabili impreparati, basti guardare al delirante commento sulla Giurisprudenza del ministro della Giustizia – e tutti i punti oscuri.

L’ultimo punto oscuro, ma chiamiamolo punto nero che fa tanto società civile di quella che andava salvata dai lupi, è rappresentato da quello che Luigi Di Maio con la sobrietà verbale che gli è propria ha già definito il Mercato delle Vacche ovvero il passaggio da uno schieramento all’altro, Berlusconi lo offrì dietro compensi, e che comprende il cambio di casacca ed il passaggio ad un’altra parrocchia. Gli è già successo al buon Di Maio ovvero ci è già passato, addoloratissimo, quando in quell’operazione che con somma crudeltà chiamammo “Adotta un Grillino“, allorquando un suo giovin virgulto, tal Matteo Dall’Osso, assolutamente dimenticato dai più e fors’anche da se stesso, passò dalla compagine del pentanullismo a Forza Italia, loculo politico dove meno sai fare più ti dicono che vali qualcosa e sei necessario.

Di Maio, già improbabile ed invisibile Ministro del Lavoro, quello che aveva salvato l’ILVA in tre mesi, è bene ricordarlo, è ora ancora più improbabile e sempre più invisibile Ministro degli Esteri, ed è andato naturalmente in televisione – in qualità di testimonial di quelli che in televisione non volevano andarci di quel movimento che ormai è più una battuta da bar che una forza politica – a parlare di Mercato della Vacche. Non di Erdogan che si sta prendendo il Mediterraneo e che ha cancellato le acque territoriale di Cipro e Creta; non dei suoi Sindaci che hanno devastato i luoghi dove governano; non per confessare che il M5S sta creando fuffa attorno alla giustizia affinché si nasconda che il suo Creatore ha un figlio sotto inchiesta per violenza sessuale di gruppo. Ed avrebbe molto di più da giustificare.

Del resto cosa volete che faccia. Con tutto ciò che ha da fare, e deve farlo male quindi l’impegno è doppio, ha persino dovuto lasciare da parte i cavalli di battaglia con i quali ha preso per i fondelli un paese intero – o almeno la mandria di creduloni che lo hanno votato – e si è dimenticato di tutto ciò che il suo movimentucolo, questo giocattolino per pochi i cui segreti prima o poi verranno a galla e ci sarà da ridere, aveva promesso: di conflitto di interessi non si parla più, perché è scomodo per Casaleggio; il reddito di cittadinanza è il più clamoroso fallimento della storia repubblicana; l’ILVA è morta mentre lui continua a raccontare di averla salvata; con il PD che tanto odiava c’ha fatto un Governo; il M5S cambierà il mondo e l’unico mondo che ha cambiato è stato quello dei conti in banca dei suoi eletti pagati fior di euri per non fare una beata minchia.

Eccola la fine prevedibile del movimento che non è nemmeno più una barzelletta da bar, ma soltanto un bubbone da estirpare al più presto attraverso l’uso consapevole del voto. Di Maio è già morto insieme ai suoi candidati da 300 voti scelti da una piattaforma dal funzionamento misterioso, una manciata di sedicenti potenziali elettori che sprechino un po’ del loro tempo a cliccare una roba incliccabile, qualche indicazione sui social su interferenze di mai identificati hacker, e qualche centinaio di voti.

 

(15 dicembre 2019)

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