di Paolo M. Minciotti
“E’ incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia di procreazione medicalmente assistita, legittimamente praticata all’estero”. E’ una sentenza che lascerà il segno (e forse cambierà la vita a centinaia di famiglie arcobaleno), quella della Consulta che ha dichiarato che “non si può sancire per legge che un bambino – in questo caso voluto e desiderato da due madri – debba essere orfano di colei che non l’ha partorito”. Lo scrive Repubblica.
Tutte le impugnazioni avvenute in tutta Italia dopo le circolari del ministero dell’Interno, a cominciare “dal caso delle decine di madri di Padova, che hanno tolto dai certificati di nascita dei figli di due madri il cognome della mamma intenzionale”. Secondo la Consulta, citiamo ancora Repubblica, “l’articolo 8 della legge numero 40 del 2004 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale”.
La Corte costituzionale ha depositato la sentenza numero 68 il 22 maggio 2025, dove si ritengono fondate le relative questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Lucca. La Corte precisa che “la questione non attiene alle condizioni che legittimano l’accesso alla Pma in Italia – ha ritenuto che l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione: dell’articolo 2 della Costituzione, per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’articolo 3 della Costituzione, per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale; dell’articolo 30 della Costituzione, perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli”.
Conclude l’articolo di Repubblica che “la dichiarazione di illegittimità costituzionale si fonda su due rilievi: la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla Pma per generare un figlio, impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi; la centralità dell’interesse del minore a che l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, nei confronti della madre intenzionale”, ma anche dalla considerazione che “il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni» sia il suo «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».
Sulla sentenza interviene con un commento sulla sua home page “Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+” che commenta la notizia come “una grande vittoria” e ricordando che da oggi, si dice addio, per tutte le coppie di donne, alle adozioni in casi particolari. Rete Lenford ricorda poi che nel marzo 2021 la Corte costituzionale, con la sentenza n. 32, aveva invitato il Parlamento a intervenire con urgenza, al fine di colmare la lacuna normativa. Oggi, dopo oltre quattro anni di assoluto e imbarazzante silenzio legislativo, la svolta della Consulta: l’identità personale e familiare dei figli di due madri, con tutti i diritti che ne conseguono, non può più essere compromessa.
(22 maggio 2025)
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