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Cosa ci ha detto il voto del 20-21 settembre? #iolapensocosì di Marco Biondi

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di Marco Biondi #Politica twitter@gaiaitaliacom #Iolapensocosì

 

Di analisi del voto siamo pieni fino alle orecchie. Non mi cimento, anche perché non è il mio mestiere, nell’analizzare le percentuali e gli 0 virgola; da queste analisi viene fuori, come accade più o meno dal 1948, che hanno vinto tutti, almeno qualcosa.

Vorrei andare un po’ più di profondità ed in prospettiva per capire che indicazioni ci sono arrivate e che possono esserci utili nella nostra quotidiana battaglia contro il populismo sovranista con l’illusione di accogliere, prima o poi, una nuova stagione riformista.

I 5Stelle stanno gradualmente procedendo verso la loro naturale estinzione. Opinione condivisa da quasi tutti gli analisti, tranne ovviamente quelli di parte. La vittoria del referendum è spacciata come una loro vittoria, ma poi i numeri dei voti suonano impietosi a ricordare che la vittoria non è loro. Loro hanno solo avviato il processo per fare un danno alla democrazia che ora dovrà essere tamponato da nuovi interventi legislativi.

Il loro gruppo dirigente è diviso tra destra (che fa capo a Di Battista) e sinistra (con Fico come “leader ombra”); a quello di sinistra si aggiungono i governativi. Sono quelli che, pur profondamente di destra, hanno avuto la manna dal cielo di un incarico e non ci pensano neanche lontanamente di metterlo a rischio. Arriveranno tutti, felici e scontenti a fine legislatura. Dovranno però rendersi conto che quasi nessuno di loro avrà spazio nel futuro parlamento e quindi, poco importerà dimostrare che sono “fedeli alla causa del movimento”. Forse una “DiBattistata” potrebbe provare a creare un nuovo partitino che potrebbe accodarsi a Lega o Fratelli d’Italia, ma con pochissime speranze di successo.

Il risultato referendario invece deve fare riflettere i riformisti. Perché se è vero che quasi un terzo della popolazione votante non ha abboccato al gioco populista, è altrettanto vero che i restanti due terzi l’hanno fatto. E di questo c’è poco da rallegrarsi. Se andiamo a leggere dove è stato più significativo il risultato del NO (centri storici delle grandi città del nord per esempio) scopriamo che qualcosa su cui riflettere c’è, eccome! I linguaggi della politica devono adattarsi agli elettori. Troppi parlano a persone istruite, politicamente pronte e comprensive, al di là delle loro convinzioni. Il risultato del referendum ci dice che questa categoria di persone è in netta minoranza rispetto alla popolazione votante.

Se si vuole costruire consenso, anche i partiti “elitari” come i moderati di centro sinistra, buona parte del PD, devono imparare a parlare linguaggi più semplici e comprensibili.

Le valanghe di voti migrate dai partiti tradizionali verso chi si presentava come “il nuovo”, ovvero chi avrebbe finalmente scardinato i capisaldi della vecchia politica, stanno a raccontarci che analisi troppo sofisticate non servono ad attrarre i voti di quei milioni di elettori che sono evidentemente scontenti della loro situazione e cercano, con un voto alternativo, di ottenere dei cambiamenti per loro significativi.

Non possiamo contare sulla memoria. Perché la storia ci racconta di politici che compaiono sulla scena quasi all’improvviso ed attraggono con promesse semplici ed efficaci la fiducia di questi elettori.

E’ iniziato tutto dal post tangentopoli, quando un imprenditore “illuminato” come Silvio Berlusconi, costretto a trovare soluzioni per le sue aziende avendo perso i suoi punti di riferimento politici, decise di “scendere in campo”. Dopo vent’anni di promesse, col Paese portato sull’orlo della bancarotta, è stato finalmente liquidato. In questo percorso è anche nata la famosa “Lega Nord” che vedeva nella secessione la soluzione dei problemi della parte prospera del paese e che si è bellamente accodata ottenendo crescenti successi.

Arriviamo alla nascita ed all’esplosione dei 5 Stelle con altrettante promesse che stanno contribuendo a devastare il bilancio dello Stato e che saranno presto revocate.

Se però continuiamo a pensare che si possano attrarre voti parlando a queste persone di un corretto bilanciamento tra PIL e debito e che lo spread può ammazzarci per l’enormità del debito pubblico che abbiamo ereditato, continueremo a contabilizzare delusioni ed a sprecare le nostre energie nel contenere i danni che questi voti di protesta generano e genereranno.

Dovremo trovare il modo più semplice e basilare per spiegare che aiutare le aziende significa aiutare tutte le persone che grazie al loro lavoro in quelle aziende, traggono il necessario per vivere. Dobbiamo trovare il modo di spiegare che gli stipendi pagati da aziende, pubbliche o private che siano, che perdono soldi, presto o tardi finiranno e la disoccupazione tornerà a salire. Dobbiamo trovare il modo di spiegare che non è detto che, se uno fa politica, che rubi soldi pubblici. Ci sono fior di professionisti che fanno politica per passione e amore del loro Paese e che lo stipendio ed i privilegi che ottengono dalla politica sono nettamente inferiori rispetto a quelli che avrebbero se lavorassero in aziende private.

Se non si trovano dei nuovi modi di comunicare con tutti, non possiamo sperare di cavarcela, perché qualche furbacchione che promette “tanto pilu per tutti” ce lo troveremo sempre ad ogni snodo elettorale. E quelli semplici, quelli incazzati, quelli disinformati, soprattutto quelli con poca memoria, li riempiranno di nuovi voti di protesta.

 

(23 settembre 2020)

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