di G.G. #Genova twitter@gaiaitaliacomlo #Nazionale
E’ Gilberto Caldarozzi, già condannato in via definitiva a tre anni e otto mesi per falso, con riferimento alla creazione di false prove finalizzate ad accusare ingiustamente chi venne pestato senza pietà da agenti rimasti impuniti nella famigerata Scuola Diaz di Genova in occasione di un tragico G8 del quale non ci si ricorda mai abbastanza, è ora il vice direttore tecnico operativo – il numero 2 per capirci – della DIA, Direzione Investigativa Antimafia, quella che è considerata la punta di diamante, la distinzione, macari il fiore all’occhiello delle forze investigative italiane. La DIA è la struttura alla quale è affidata la lotta alla mafia.
La nomina è stata decisa poche settimane fa dal ministro Minniti ed è passata in sordina, con la politica silente, tutta sinistra a destra, fino a quando i reduci del Comitato Verità e Giustizia per Genova, gruppo gruppo formato da ex arrestati della Diaz e di Bolzaneto e dai loro famigliari si sono resi conto della nomina ed hanno cominciato a parlarne.
Scrive Repubblica a proposito della nomina:
Caldarozzi, ex capo dello Sco, la Sezione criminalità organizzata, considerato un “cacciatore di mafiosi”, per la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo è invece uno dei responsabili dei comportamenti di quella notte del 2001 e dei successivi comportamenti degli apparati di Stato, che sono valsi al nostro paese due condanne per violazione alle norme sulla tortura. Scrissero i giudici della Cassazione per Caldarozzi e gli altri condannati: “hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”. Non esattamente una medaglia da inserire nel proprio curriculum.
(…)
Il suo esilio, per altro non è stato quello di un appestato. Gli anni di interdizione li ha trascorsi lavorando come consulente della sicurezza per le banche e poi come consulente per la Finmeccanica dell’ex capo De Gennaro. Si parlò anche di “collaborazioni” con il Sisde, i servizi segreti, proprio come, sempre a stare alle voci, si racconta intrattenga oggi il anche pensionato Franco Gratteri, ex capo della Direzione centrale anticrimine, il più alto in grado fra i condannati della Diaz.
Nonostante l’Italia, tra molte contestazioni e distinguo, si sia dotata da qualche mese di una legge sulla tortura, sembra essere completamente inevaso uno degli aspetti più volte ricordati dai giudici europei. Quello che riguarda non gli autori materiali delle torture bensì tutta la scala gerarchica e i regolamenti interni che non provvedono a isolare i torturatori e chi li ha coperti nelle fase preliminare delle indagini, e che poi non provvede, se non a radiarli, perlomeno a bloccare le progressioni di carriera, o in estremo subordine ad assegnarli ad incarichi non operativi.
(27 dicembre 2017)
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