“Giustappunto!” di Vittorio Lussana. Addio alle carni

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di Redazione #Giustappunto twitter@gaiaitaliacom #VittorioLussana

 

Nel film ‘Contagion’ di Steven Soderbergh, una gigantesca pandemia si scatena nel mondo a causa di un virus che riesce a fare lo ‘spillover’ (il salto di specie, ndr) dal pipistrello ai maiali e, in seguito, all’uomo. Più o meno quanto capitato di recente con il Covid 19. Ma tutta questa vicenda impone riflessioni ulteriori, senza andare troppo di ‘fantasia’ con ipotesi strampalate. In primo luogo, ribadiamo come il Sars Cov-2 sia un virus naturale e non una patologia creata in laboratorio da un Paese che ha cercato di colpirne altri. Infatti, sequenziando il suo Dna, alcuni ricercatori hanno trovato somiglianze con altri coronavirus che, in passato, hanno contagiato i pipistrelli, dimostrando ampiamente come il nuovo coronavirus provenga proprio dai chirotteri. Il primo vero mistero lo incontriamo, invece, nel passaggio successivo: come è avvenuto il ‘salto’ dal pipistrello agli esseri umani? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo entrare in un territorio scientifico più relativo, affidandoci a un dato storico e, al contempo, statistico: già in passato, pandemie di questo tipo si sono estese al genere umano attraverso una specie animale ‘intermedia’. E non è affatto stravagante sospettare che, anche questa volta, le cose siano andate così. Qui sorge il secondo mistero: che tipo di animale ha svolto questa funzione ‘vettoriale’? In merito a ciò, l’ortodossia scientifica indica nel pangolino – un formichiere asiatico particolarmente ricco di proteine e connotato da una carne particolarmente dolce – il più probabile ‘animale di passaggio’. Un’ipotesi ragionevole, poiché in passato questi animaletti ricoperti di scaglie sono stati colpiti da virus di questo genere. Ma può bastare vietarne la vendita per legge? Noi pensiamo di no. Anzi, esiste il pericolo opposto: la creazione di mercati clandestini di carni pregiate e a prezzi di lusso.

Tutto questo ci porta a una considerazione ben precisa: limitarsi a incolpare i cinesi di avere barbare abitudini alimentari, come ha fatto di recente il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, non basta a mettersi al riparo da questo tipo di eventi pandemici. E adesso che abbiamo più o meno individuato il ‘salto di specie’ più probabile, bisogna capire come e, soprattutto, dove pipistrelli, pangolini ed esseri umani siano entrati in contatto. Addirittura, c’è chi parla di macellazione del pipistrello, come se i cinesi si nutrissero di questo mammifero mangiandolo crudo: quando si legge una sciocchezza di questo genere, si sappia che non solo si tratta di una ‘fake news’, ma di qualcuno che non si è informato affatto e sta proponendo ipotesi astratte. Al contrario, a questo punto dell’indagine, bisogna fare un salto all’indietro di circa una ventina d’anni. Ovvero, ai tempi in cui la Cina popolare ha cominciato ad aumentare la sua produzione di carni, bianche e rosse, massimizzando la produzione fin quasi a raggiungere le 100 tonnellate l’anno: il doppio di quella degli Usa, tanto per intenderci. Infatti, per produrre tutta questa carne, la Cina ha dovuto intensificare gli allevamenti di animali da macello, distruggendo i mercatini locali e le fattorie a conduzione familiare. In sostanza, con l’aumento della popolazione, un fenomeno letteralmente esploso negli anni ’90 del secolo scorso, la Cina popolare ha puntato sui grandi gruppi dell’industria alimentare, che non solo hanno dovuto rispondere alla domanda crescente del suo mercato interno, ma hanno cominciato a produrre anche per l’export, sostenuti, in questo, da investimenti e capitali occidentali. Questa svolta ‘globale’ ha costretto i ‘medio-piccoli’ a produrre e a vendere carni ‘alternative’, spostando i propri allevamenti in zone più selvagge e abbandonate del Paese, jungla asiatica compresa. Ed ecco risolto il mistero del come e del dove è avvenuto l’incontro tra pangolini e pipistrelli: esattamente come accade in ‘Contagion’, ma guarda un po’…

Queste ipotesi che andiamo facendo non sono così ‘campate per aria’ come si crede. E servono anche a smontare quanto si pensa, da decenni, sul mio conto. E cioè che sarei un tipo di giornalista molto intelligente, con un notevole bagaglio culturale personale, ma che, ogni tanto, si diletta in ipotesi complottiste, le quali provocano – e avrebbero già provocato – le emulazioni più bislacche. In pratica, qualcuno ha scritto in giro che uno dei responsabili delle nuove tendenze a ‘sparare minchiate’ sarebbe proprio il sottoscritto. Ma io non adoro ciò che voi adorate, né venero ciò che voialtri venerate. Io m’informo veramente, leggendo giornali, riviste e libri. E informarsi, talvolta, significa saper scegliere gli interlocutori con i quali riflettere e avere corrette indicazioni sul come e sul dove andare a indagare. Addirittura, nel caso della Cina, il mio noto interesse per i sistemi socialisti mi ha condotto a osservare da vicino cosa caspita stesse combinando Pechino dopo la caduta del Muro di Berlino. In buona sostanza, non fu il mercato delle carni della Cina popolare a colpire la mia attenzione, bensì la sua esplosione demografica. Chi ricorda i ragionamenti che si facevano allora? Anche quelli più semplici, del tipo: “E’ impossibile dichiarare guerra ai cinesi: sono un miliardo di individui…”. Ecco, bene: la Cina di oggi sta raggiungendo una popolazione di quasi 1 miliardo e 700 milioni di persone. E la sua produzione di carni ‘normali’ – polli, manzi, vitelli e così via – ormai da decenni avviene a ritmi sempre più vertiginosi, spingendo chi allevava e alleva ancora oggi specialità ‘alternative’ verso regioni in cui gli allevamenti intensivi non dovrebbero esserci. E dove uomini e animali non dovrebbero entrare in contatto.

Ma non è finita qui: i cosiddetti ‘allevamenti intensivi’ sono fonte di un altro problema. Come dimostrato nei primi anni duemila dal morbo della ‘mucca pazza’, dall’influenza aviaria del 2005-2006 o dal pericolosissimo virus H7-N9, sorto negli allevamenti intensivi di pollame causando la morte di circa il 38% delle persone contagiate – il Covid-19 possiede un tasso di mortalità che va dal 3 al 5% di coloro che sono risultati contagiati: attenzione alle proporzioni… – il dato comune è sempre quello degli allevamenti intensivi, i quali si trasformano in potentissimi ‘incubatori’ di virus. Si tratta di allevamenti poco controllati, in cui gli animali risultano ammassati gli uni sugli altri, in condizioni igieniche molto discutibili. Inoltre, il mescolamento delle razze genera animali sempre più simili gli uni agli altri, in particolare negli incroci fra ‘consanguinei’. In tali condizioni di contesto, quando sorge un nuovo virus, questo infetta facilmente tutti gli animali di un allevamento, senza trovare alcun tipo di resistenza o immunità, per poi passare facilmente anche all’uomo.

Insomma, la questione non è quella di una popolazione cinese che dovrebbe “smettere di mangiare tutte quelle schifezze che mangiano”, come ha affermato Luca Zaia. La vera questione è un’altra: anche noi occidentali dobbiamo smetterla di nutrirci di carni di animale. Lo dicevo già negli anni ’80 e i fatti di questo stravagante 2020 mi hanno dato ragione, pur colpendomi al cuore nel mietere migliaia di vittime proprio nella ‘mia’ Lombardia. Il ‘diavolo’ probabilmente esiste. E rimango convinto che egli ce l’abbia proprio con il sottoscritto, anche se non ne ho mai capito il perché. Ma a prescindere da queste convinzioni personali, cosa ci suggerisce questo ‘diavolaccio’ con il quale stiamo giocando a scacchi? Ci viene a dire che con il Covid-19 siamo stati persino fortunati, perché poteva scatenarsi un qualcosa di molto più letale. Adesso, invece, possiamo valutare l’opportunità di modificare il nostro stile di vita: saremo in grado di farlo? Giunti a questo punto, è questa la vera domanda da 100 milioni di dollari.

Concludendo, sin dai giorni in cui si sono scatenate le prime polemiche sulla ‘Fase 2’, non si è capito che, se vogliamo evitare, in futuro, nuovi drammatici eventi sanitari o pandemici, non dovremmo pensare di ricominciare a vivere come prima, o come se l’esperienza di questi mesi sia stata una semplice parentesi. Dobbiamo, invece, cominciare a pensare al ‘fattore cibo’ in maniera diversa, superando la nostra condizione di ‘carnivori’. Questa è la scelta scientificamente più corretta: dobbiamo cambiare il nostro modello di sviluppo. Cosa che, molto probabilmente, avverrà, ma molto lentamente, poiché noi esseri umani siamo affetti, in realtà, da un altro virus: quello dell’avidità. Dobbiamo diventare vegetariani ed eliminare il mercato delle carni prodotte negli allevamenti intensivi: e chi glielo spiega ai profeti della globalizzazione? Anzi, ora che è venuto il momento di essere veramente ‘no global’, tutti si lamentano per la crisi economica e si accusano reciprocamente di aver preso decisioni sbagliate.
Invece, il punto ‘cruciale’ di tutta questa vicenda è un altro: dobbiamo dire addio a petti di pollo e bistecche. Ce la faremo? Forse sì. Ma in un giorno ancora lontano.

 

(19 giugno 2020)

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