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Rendez Vous Festival del film francese 2018 e l’orribile “L’Amant Double” di François Ozon

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di Alessandro Paesano #rendezvous twitter@gaiaitaliacomlo #cinema

 

 

L’Amant double (t.l. L’amante doppio) (Francia, 2017) di François Ozon, è ispirato al romanzo Life of Twins del 1987 della scrittrice statunitense  Joyce Carol Oates (che per quel romanzo usa per la prima volta lo pseudonimo di Rosamond Smith), dal quale è stato già tratto un film tv (Lies Of the Twins, in italiano Bugie allo specchio) (Usa, 1991) di Tim Hunter, con Isabella Rossellini.

Il romanzo è incentrato su una coppia di gemelli, entrambi psicoterapeuti, che seducono una giovane modella.
Ozon, che firma anche la sceneggiatura, ne trae una storia che vorrebbe essere un thriller psicanalitico ma che scade immediatamente nel ridicolo.

Nulla funziona nel film, nemmeno le citazioni di cui è disseminato che non hanno alcuna altra funzione se non quella di essere tali senza servire mai alla storia del film.

Il film manca di credibilità, tradita dalla sciatteria di una sceneggiatura che confonde ruoli e contesti.

Chloé, la protagonista (la monoespressiva Marine Vacth), ex (?) modella, priva di lavoro (ne troverà uno come guardiana di museo), soffre di mal di pancia che la sua ginecologa (?!) sospetta essere di origine psicosomatica.
Per questo Chloé va da uno psichiatra (perché mai?).

Lo psichiatra che ha con la sua paziente un atteggiamento da  psicanalista e non le prescrive alcun farmaco (cosa che, normalmente, gli psichiatri fanno), si innamora di lei e quando le annuncia che, per deontologia, non può più seguirla, lei, che fino a quel momento, per sua stessa ammissione, lo ha considerato una medicina (pregiudizio sulla psicanalisi di chi non è mai stato in terapia…) lo bacia e lo ama, così, d’amblée.

Quando Chloe prende appuntamento dal fratello gemello dello psichiatra (col quale nel frattempo è andata a vivere, traslocando entrambi in una nuova casa) che è uno psicoterapeuta, questi oltre a farsi pagare la prima seduta (che normalmente, essendo propedeutica alle sedute vere e proprie, è gratuita) usa parole come guarire, frigida e isterica.
Sentire la parola frigida (per tacer di isterica…), in bocca a uno psicoterapeuta, nel 2018, fa ululare non solamente le femministe, ma tutte le persone di buon senso, dato che il concetto stesso di frigidità si basa su un’idea maschilista e patriarcale del piacere sessuale femminile.

Una femminilità che Ozon non pare conoscere se ce ne mostra dettagli anatomici a cominciare dalla sequenza in cui la ginecologa per indagare sul mal di pancia di Chloé introduce uno specolo nella vagina della ragazza, la cui forma fessurale viene paragonata, tramite il montaggio, alla fessura dell’occhio.

Una sessualità penetrativa e performativa nella quale Chloé non ha alcun contributo positivo ma è pura ricettività della potenza virile dei due gemelli che la penetrano facendole provare (o non) piacere secondo una visione talmente retrograda del femminile da lasciare il pubblico sbigottito.

La misoginia, strisciante, è presente in tutto il film: a cominciare dalla sequenza d’apertura nella quale Ozon impone all’attrice il taglio dei capelli per nessun altro motivo se non quello di mostrare il suo potere di regista (nel film il taglio di capelli non viene spiegato e non serve in alcun modo alla trama).
Taglio dei capelli che è stato letto da qualcuno sulla rete come “tentativo di mascolinizzare la propria identità” (a proposito di stereotipi culturali…).
Nel film nessun personaggio femminile è positivo, dalla vicina di casa, ambigua e imbalsamatrice di gatti, alla madre di Chloé (una splendida Jacquiline Bisset) causa delle psicosi di Chloè, psicosi  che, a fine film, quando nella trama nulla sembra più tornare, vien usata come deus ex machina per far quadrare una trama inconsistente.

La stessa psicosi che fa di Chloé l’unica cattiva del film, e dello psichiatra (non più gemello) una vittima poco virile.

Già, la virilità, altra ossessione del film, che tradisce una repressione sessuale insopportabile, pregna di un (pre)giudizio patriarcale irricevibile.
Quando Chloè fantastica di penetrare il gemello cattivo, per contrastarne sessualmente la potenza, (è lui a farla godere come col gemelllo buono non le è successo mai), il gemello cattivo le suggerisce di penetrare il fratello buono.
Nella scena in cui lei indossa il fallo di gomma col quale penetra lui come nel peggiore dei film porno, non c’è alcuna preparazione, nessun preliminare, un po’ di rimming, una lubrificazione appropriata dell’ano, basta un po’ di lubrificante sul fallo e via!
Analità, un tabù che riguarda tutti e tutte (come spiegato nello splendido e ormai introvabile Il piacere negato di Jack Morin, Editori Riuniti 1994) svilita da Ozon a mero elemento di sottomissione, di umiliazione della virilità sì che il gemello buono confessa di non aver provato nulla (non sia mai che gli è piaciuto…) e di averlo fatto solo per lei.
Come gettare nel gabinetto anni di liberazione sessuale e dai ruoli patriarcali in un sol colpo.

Il pubblico in sala subisce rimanendo in silenzio sollevata dalla fine del film, non perché sia risolutiva, ma perché almeno può tronare alla vita dopo due ore di un film la cui pulsione di morte asfissia.

L’Amant double è una sciocchezza imbarazzante del quale non si può nemmeno dire che è “brutto film” perché del film non ha nulla.

Un non film, che uscirà nelle nostre sale il prossimo 19 aprile col titolo di Doppio amore.

 





(8 aprile 2018)

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