di Mila Mercadante twitter@mila56102367
Avrei preferito una cosa improvvisa, paff. Invece la vita ha cominciato a sgretolarsi da dentro, lo sento che è così. Non posso farmi aiutare, non posso più chiedere niente né decidere niente: è finita, sto morendo, e non mi pare la morte che meritavo, questa. Muoio di una morte qualunque, lenta, nel letto di casa mia. Vecchio, malato. L’Italia senza di me non è niente, niente. Io mi sono fatto da solo, sono arrivato dove sono arrivato esclusivamente in ragione della mia forza di carattere, della mia capacità, della mia intelligenza. Quelli, gli altri – salvo la buona pace di tre o quattro – sono stati e saranno una manica di vigliacchi, di burattini incapaci di scegliere, di dire di no, gente che si muove di soppiatto, gente senza orizzonti, che straparla di lealtà e poi non dice mai la verità. Macché, la lealtà è la mia, che me ne vado col cuore gonfio di segreti, di storie inenarrabili: la lealtà è il silenzio, cari miei, ed ha a che fare col coraggio. Che ne sanno, loro, del coraggio? Del mio coraggio, che ne sanno? E’ nascosto allo sguardo dei più e mi permette di crepare senza avere la coscienza a posto, senza essere in regola, senza temere di non poter rimediare. Decidere di essere cattivo per il bene della mia famiglia, certo, ma soprattutto per il bene della patria: questo ho fatto! Prigioni, accuse, processi, condanne, fughe rocambolesche, tutto ho sopportato senza mai un languore. Pendevano dalle mie labbra, i potenti. Chi altri, come me?
I buoni: moltitudini, milioni, tutti con le spalle cariche di pesi e fardelli e preoccupazioni, tutti chinati in avanti a sopportare, occhi a terra. E’ così da sempre. I buoni hanno bisogno di uomini come me, che gli diano una mano. I buoni se la fanno addosso, diciamo la verità, e bisogna che li si metta in condizioni di vivere con dignità, senza intralci ma con qualcosa da perdere a cui attaccarsi. Eh, si, è necessario dare ai buoni desideri e roba a cui attaccarsi, in modo che si sentano liberi. Libertà è una parola grossa e impropria, una fesseria, una cosa buona per le ferie agostane, ma se parliamo di governarli, gli uomini, ci vuole altro che la libertà, fatemi il piacere! L’avevo architettato, un progetto che accontentasse tutti, i buoni e gli ambiziosi. Era un progetto perfetto per un paese perfetto. Lo sottrassero a mia figlia Maria Grazia, povera ragazza, la più sfortunata della famiglia. L’avevo chiamato “Piano di rinascita democratica” ed era un capolavoro. Ne hanno tratto qualche spunto, ma non ci hanno saputo fare e hanno rovinato tutto: troppo presi dai calcoli, dall’accumulo, dalla voglia di succhiare come piccole zecche senza ideali.
E’ andata così, ho sprecato tempo, poi non ho più potuto corregli dietro, è venuto il tempo della solitudine e dell’imbarazzo. Imbarazzo, si: per la loro pochezza, mica per altro. Niente palle, lì nel Palazzo. Uno c’era, ma ha mollato. C’è da crepare di rabbia, uno come lui che s’è perso in mezzo a un troiaio. Avevo fiducia, lui era sulla buona strada. Se solo non avesse avuto quella fissazione per il divertimento, per l’amore che fa sentire giovani. Non lo sa che i vecchi prima o poi tornano addirittura bambini? Fanno la pipì a letto come i bambini, altro che gioventù. Che noia. L’ho già detto: ho sprecato il mio tempo, e adesso me ne vado. Vi vedo, tutti quanti. Siete fregati, non avete neanche più la dignità di farvi comandare da un italiano. Prendete ordini da fuori.
(16 dicembre 2015)
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