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Gambia, torturano presunti omosessuali affinché denuncino altri presunti omosessuali

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Yahya Jammeh e Consortedi Paolo M. Minciotti

Il presidente Janneh in caduta libera nei consensi e messo alla gogna dall’opposizione interna, ha deciso di dare seguito alla sua minaccia pre-elettorale (che gli è valsa la rielezione) di rendere la vita di gay e lesbiche “un inferno”.

“Dovranno pentirsi di essere nati”, aveva aggiunto. Ci siamo. Otto persone sono state arrestate dall’inizio di novembre, detenute senza accuse formali, torturate in quanto presuntamente omosessuali (sono cinque uomini e tre donne) e per estorcere loro nomi e cognomi di altre persone presuntamente omosessuali.

Gli arresti sono messi in atto dalla National Intelligence Agency (NIA) e dalla Guardia Presidenziale, che quando si è dittatori bisogna esserlo sul serio. Come abbiamo riportato nei giorni scorsi, numerose sono le persone omosessuali fuggite nei paesi confinanti per sfuggire alla furia omofoba di Jammeh e del suo partito l’Alliance for Patriotic Reorientation and Construction (APRC), secondo il quale “gli omosessuali dovrebbero essere uccisi perché sono nemici dell’umanità”.

Anche Amnesty International si è unita alla denuncia dell’ennesima violazione dei diritti umani da parte del regime di Jammeh, al potere – non si capisce bene come – dal 1996, e che ha recentemente varato una legge-fotocopia dell’antigay bill ugandese, senza nemmeno preoccupatsi di cambiarne le parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(20 novembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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