di Vittorio Lussana
“La destra è cultura del già visto e del già vissuto. La sinistra, invece, è cultura dell’astratto…”, disse Fabio Dragoni de La Verità nel corso della trasmissione Di Martedì, andata in onda su La7. Sarà, ma a noi sembra che i primi a essere in confusione intorno al concetto di destra siano proprio gli esponenti della cultura conservatrice italiana, fermi indistintamente tutti, compreso il ministro dei Beni culturali, Gennaro Sangiuliano, a una versione alquanto misera del conservatorismo medesimo, che non seleziona e non si libera mai di niente. Tutto può tornare utile, un domani, come mero strumento di lotta politica, persino il delirio. Ma questo è propagandismo demagogico, non filosofia.
A parte il fatto che il concetto di astrazione evocato da Fabio Dragoni contro le culture di sinistra non è sinonimo di spirito filosofico, che bene o male è sempre pensiero, bensì un’accusa di mera fantasticherìa irrazionale, priva di schemi logici. Ma la sua categorizzazione della destra diventa un concetto ideologico chiuso, un’identità preconfezionata, oltreché statica e materialista. In pratica, si tende ad escludere ogni teoria che non ci piace. Persino l’idea stessa e ogni altra teoria che non sia la nostra. Dragoni teorizza una filosofia del non apprendimento, del non ascolto. Ma anche per prendere la patente di guida si deve superare un esame di teoria, perché se non si conosce la cartellonistica stradale, un incidente capita, prima o poi.
Dragoni commette anche un altro errore rispetto al ministro Sangiuliano che con la sua frase su Dante Alighieri ha tentato, per lo meno, di agganciarsi a un ideale nobile della destra italiana. Dragoni, invece, parla di “destra di vicinanza, di prossimità”, confondendo la Storia con la geografia. Anche messa così, infatti, la destra diviene un’appartenenza territoriale, etnologica, che può essere soggetta a derive provincialiste, da campanile. Una roba folcloristica, insomma, portata avanti non come identità nazionale, bensì come tifoseria calcistica: la solita degradazione da spirito a cosa. Meglio restare sul materialismo più negazionista e generico, a questo punto: è più simpatico ed è dotato di dignità umana, perché quando qualcuno rosica, per lo meno possiamo farci un mucchio di risate.
Il “già visto e il già vissuto” di Dragoni significa inattualità. E’ una teoria della rimozione, che rischia di lasciarsi costantemente sorprendere dalle novità, anche quando ciò appare umanamente comprensibile: non a tutti piacciono le sorprese. Ma diventa persino paradossale, a questo punto, che Fabio Dragoni pratichi il giornalismo: una scienza pienamente umanista, interamente basata sul concetto di news, cioè di aggiornamento quotidiano alle novità. Dragoni, in fondo, è coerente con la linea editoriale espressa da La Verità: pur di non ammettere di aver sorpreso l’amante della propria moglie nell’armadio, si è disposti ad affermare che si tratta dell’apparizione Sant’Eusebio. Un clerico-fascismo per grazia ricevuta. Una filosofia che non corrisponde nemmeno all’estetismo di Vittorio Sgarbi, ma a un’idea volgare di popolarismo basata sul mero possesso delle cose. E’ pura pornografia, in una parola: patriarcato.
Noi non abbiamo voglia di metterci a litigare. Diamogli, dunque, qualche dritta ai nostri giornalisti di destra, altrimenti finisce che sbattono la testa ad ogni angolo anche solo per riuscire ad andare in bagno. La vostra filosofia di riferimento, caro Dragoni, è lo spiritualismo hegeliano, rappresentato, in Italia, da Bertrando Spaventa e Giovanni Gentile, ovviamente rivisitati. Ovvero, mantenendo ben distinti l’interesse pubblico da quello privato, che è il punto cardine della democrazia. Un crocianesimo eterodosso, insomma, che s’incazza solo quando è giusto e opportuno incazzarsi. E’ una nuova idea di destra democratica, quella che dovete rielaborare. Anche al fine di uscire dai cimiteri del passato e decidersi ad affrontare la realtà.
Perché in fondo, siamo tutti cornuti: basta saperla prendere con filosofia….
(26 gennaio 2023)
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