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Sanremo. Fine pena, mai “Giustappunto!” di Vittorio Lussana

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di Vittorio Lussana, #Giustappunto

Ariecco Sanremo. Neanche dopo un intero anno di pandemia c’è stato modo di sospenderlo. Una manifestazione che continua, imperterrita, a presentarsi innanzi agli occhi degli italiani. Forse non ha torto chi pensa che essa esistesse prim’ancora della riunificazione del 1861. C’era già prima, Sanremo. Noti sono, infatti, i successi risorgimentali di Gianni Morandi: ‘Uno su mille ce la fa’, dedicata a Giuseppe Garibaldi; ‘C’era un ragazzo che come me amava Mazzini e Camillo Cavour’; ‘Andavo a cento all’ora’ dedicata all’inaugurazione dell’Autosole. Tutti successi indimenticabili.

Poi venne l’epoca degli ‘urlatori’, con Tony Dallara e Renato Rascel, Mina e Adriano Celentano. Mitica l’annata che vide l’esordio di Gigliola Cinquetti, che riuscì a cantare ‘Non ho l’età’ sul palco dell’Ariston spacciandosi per la nipote di Claudio Villa. Momenti e anni bellissimi, che purtroppo non torneranno mai più. In seguito, giunse il ciclo dei cantautori, i quali tentarono di ‘spostare’ il nostro sguardo verso orizzonti più pensosi, come nel caso di Luigi Tenco, Sergio Endrigo e Gino Paoli.

Negli anni ’70, la manifestazione sembrò entrare in crisi, anche se l’arrivo di Rino Gaetano fece scalpore. Infine, il grande ‘rilancio’, avvenuto grazie a Toto Cutugno, Pupo, Riccardo Fogli e tanti altri. Fantastiche le edizioni in cui Anna Oxa mostrò al mondo le sue vere qualità: un fondoschiena perfetto, scolpito da Michelangelo. Fino ad arrivare ai giorni nostri, con i successi di Francesco Gabbani, Diodato e le crisi isteriche di Bugo e Morgan. Di Domenico Modugno abbiamo già parlato, in passato. Soprattutto, in merito al vero richiamo nascosto di ‘Volare’ – l’orgasmo maschile – che per lunghi decenni venne percepito come un inno ai salvataggi dell’Alitalia.

Insomma, la solita gran ‘caciara’, tipica di un Paese allegro e canterino che ama tantissimo rimuovere i suoi problemi, nascondendoli sotto al tappeto. Sono poche, in effetti, le rassegne canore degli altri Paesi europei: solo noi ce lo abbiamo, il Festival di Sanremo. Evidentemente, dobbiamo proprio aver fatto qualcosa di male, in passato. E tutti si sintonizzano in mondovisione per vedere, una volta l’anno, cosa caspita combiniamo noialtri, sempre alle prese con le nostre regressioni mentali e anche sessuali.

E’ vero: c’è anche l’Eurofestival. Una manifestazione che, per alcuni anni, cercai di seguire. Siccome però, a parte un raro caso, non lo vinciamo mai, mostriamo scarso interesse verso quella competizione canora. L’Eurofestival è roba per gli Abba o altri gruppi del nord’Europa, coi loro capelli biondi e la manìa per il campeggio a bordo di un furgoncino della Wolkswagen. Eresie da protestanti, insomma.

Cosa ci dirà questa 71esima edizione? Mah… E chi può dirlo? Noi italiani siamo così imprevedibili. C’è da dire che la conduzione di Amadeus la ritengo accettabile, anche se molto aiutato e ‘spalleggiato’ da Fiorello, che invece meriterebbe una conduzione in prima persona, essendo un autentico ‘showman’ di talento. Ma anche la lunga esperienza professionale di Amedeo Sebastiani merita un’incoronazione, con tutti i ‘giramenti di palle’ che ha dovuto sopportare con certi concorrenti de ‘L’eredità’. Ricorderò sempre quella volta in cui ne buttò fuori uno dallo studio televisivo, perché sparava ‘minchiate’ anziché rispondere al quiz. Aveva ragioni da vendere quella volta, il povero Amadeus. Ma anche in quel caso, si dovette mediare, per arrivare ai soliti ‘tarallucci e vino’.

Perché noi italiani siamo costretti a tollerare anche quella parte di noi composta da persone assurde. Bisogna sopportare anche quella gente lì: i piccolo borghesi reazionari, che promettono una seconda Norimberga, per vendicarsi della prima; che vivono in uno stato di perenne e sempre più malcelato odio ideologico; che si fanno mandare risarcimenti e ‘ristori’ e, al contempo, riaprono palestre, ristoranti e locali; che adorano la libertà di potersi fare del male da soli a danno della collettività; che preferiscono i ‘bibitoni da cacarella’, piuttosto che farsi vaccinare.

Ecco, un ultimo pensiero lo dedicherei proprio a ‘Cacarella’: il finale di ‘Affabulazione’ di Pier Paolo Pasolini. Un breve epilogo che descrive perfettamente il rapporto storico tra le diverse generazioni di italiani che si susseguono una dopo l’altra, reiterando sempre lo stesso, identico, problema: padri reazionari che vorrebbero uccidere i propri figli o esserne uccisi, poiché abituati a ragionare in una logica di guerra; e figli abulici che non vogliono né la prima, né la seconda cosa. Figli anacronisticamente innocenti, costretti a subire questo ‘Fine pena: mai’ chiamato Festival di Sanremo.

 

(26 febbraio 2021)

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