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Home#MilapersisteLe Fondazioni bancarie e il divario Nord-Sud #Milapersiste

Le Fondazioni bancarie e il divario Nord-Sud #Milapersiste

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di Mila Mercadante #milapersiste twitter@milapersiste #gaiaitaliacom

 

Ho letto recentemente alcune dichiarazioni di Gregorio De Felice (capo economista di Intesa San Paolo) e di Giuseppe Guzzetti (Presidente della Fondazione Cariplo e Presidente ACRI), a proposito del ruolo delle Fondazioni bancarie nello sviluppo economico del nostro paese. Le Fondazioni bancarie mirano “ad avere una crescita più inclusiva e una maggiore distribuzione della ricchezza, soprattutto cercano di riattivare l’ascensore sociale che in Italia si è un po’ bloccato negli ultimi anni”. Le Fondazioni, nell’epoca dei tagli vigorosi al welfare imposti dalla UE, svolgono un ruolo di primo piano in diversi settori (cultura, scuola, sanità, edilizia pubblica, soprattutto infrastrutture) aggirando le regole dell’unione. Si tratta di un sistema che presenta notevoli ambiguità, una delle quali è che essendo le banche amministrate dal potere politico, le Fondazioni bancarie si trasformano in finanziarie dei partiti. Un’altra disfunzione mi ha colpito particolarmente: suppongo che non se ne parli perché penalizza il meridione. La legge finanziaria del 2002 (detta Tremonti), entrata in vigore nel 2003, obbliga le Fondazioni bancarie a spendere il 90% dei proventi solo a livello locale. Tenendo conto del fatto che quasi tutte le grandi banche e le principali Fondazioni bancarie hanno sede al nord, è chiaro che il sud finisce col trarre pochissimi benefici rispetto al nord. La sproporzione delle risorse da spendere, in questo modo, è stata riaffermata e ingigantita. L’obbligo di investire nella regione di appartenenza è una forzatura: queste banche non svolgono le loro attività operative solo a livello regionale, esse operano a livello nazionale e alcune di esse anche a livello internazionale. Per quale astruso motivo dunque di un’operatività così allargata devono beneficiare solo i cittadini che risiedono al nord?

La situazione di crisi e di minorità del sud del paese è talmente grave da meritare l’attenzione di tutti, non fosse altro che per provare a scoprire la bontà dell’equità, che se praticata produrrebbe vantaggi e maggiore benessere all’intero paese. Credere alla favoletta del nord che spende per il sud e credere a chi individua i colpevoli nelle mafie e nella classe dirigente meridionale significa non voler comprendere che la faccenda è molto più complicata. Al netto delle considerazioni sulla cattiva gestione politica locale – che è un dato di fatto – non bisogna mai dimenticare che al sud si gestisce soltanto il potere che si riceve per delega, secondo gli interessi del nord, o quantomeno secondo direttive che non scalfiscono il suo potere. A conferma di ciò, perfino Emma Marcegaglia nel 2010 ebbe a dire che Confindustria, da quando è nata, non ha mai preso una decisione in favore del meridione. Il sud, che per stampa e televisioni non esiste se non relativamente alle notizie di cronaca collegate alla criminalità organizzata, recentemente viene menzionato spesso per il reddito di cittadinanza, una sorta di recinto per poveri sul modello tedesco Hartz IV, uno dei due progetti che il nuovo governo ha per il sud. L’altro è Zes-Aas, proposto dalla Lega per ripopolare zone particolarmente disagiate di Sardegna, Sicilia e Calabria utilizzando i criteri della silver economy. Niente male, siamo proprio fortunati.

 





(16 novembre 2018)

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