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I tunisini contro il caro-vita: gli islamisti di Ennahda cavalcano la protesta

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di E.T. #Tunisia twitter@iiiiTiiiii #Internazionale

 

 

Un famoso network radiofonico nazionale, uno di quelli che nei propri stacchi promozionali parla di obbiettività e autorevoleggerezza, affrontando nella giornata del 9 gennaio scorso l’argomento degli scontri in Tunisia ha intervistato un rappresentante del partito filo-islamista e ultraconservatore di Ennahda, forse perché parlava un ottimo italiano. Conosco bene la Tunisia, è un paese che amo; ci ho studiato, vissuto, amato. Non mi stupirebbe affatto che dietro le proteste contro il caro-vita, le violenze, i giovani per le strade, ci fosse proprio Ennahda che non è esattamente un partito democratico ma è, al contrario, quella forza politica che tentò di emendare la giovanissima costituzione tunisina per togliere diritti alle donne e che in qualche modo è responsabile della recrudescenza filo-islamista in ampie fasce della società e soprattutto tra giovani e giovanissimi, e nelle zone rurali del paese, i villaggi ed i paesi più poveri nella banlieue e nelle vicinanze di Tunisi e che fa proseliti nelle fasce culturalmente più vulnerabili.

I disordini contro il caro vita sono scoppiati subito dopo l’approvazione della legge finanziaria 2018, soprattutto nella città di Sidi Bouzid, Meknassy, Kasserine, Thala, Gafsa, Tébourba e Tunisi – amici mi riferiscono di situazioni di tensione anche a Mornag, Sidi Bou Said ed altri luoghi più vicini alla capitale – e ricordano molto da vicino ciò che avvenne nel 2011, in quella primavera araba che nella narrazione occidentale, quella che alla realtà sostituisce troppo spesso il proprio punto di vista caucasico-centrico, doveva imporre la democrazia all’americana in tutta la zona, quando i disordini e i moti popolari portarono alla caduta del dittatore Ben Ali che aveva esasperato un popolo arricchendosi sulla pelle di chi non aveva nulla. Ora si ripetono le proteste per l’aumento della tasse, ma la situazione è differente. Se nel 2011 c’era un dittatore da far cadere ora c’è un partito, Ennahda, con tentazioni autoritarie ed islamiste mai troppo nascoste, che potrebbe nascondersi, insieme agli estremisti Salafiti, tra la popolazione soffiando sul fuoco della rivolta a fini antidemocratici. Saggezza suggerirebbe di non gridare al miracolo come 7 anni fa quando doveva cambiare tutto e nulla cambiò. In Egitto, ad esempio, le cose peggiorarono. Eviterei di parlare della Siria.

Ai primi scontri la Polizia tunisina, che non è una forza che ci va tanto per il sottile quando c’è da menar le mani, ha lanciato gas lacrimogeni in abbondanza, le cui inalazioni hanno ucciso un 42enne di Tébourba. La morte dell’uomo ha ulteriormente esacerbato gli animi e la gente si è riversata per le strade in tutta la regione di Tunisi. Ci sono stati saccheggi a negozi e magazzini. Parlano di abitanti di Gafsa che hanno lasciato la Tunisia per trasferirsi in Algeria, come se in quel paese si stesse meglio. E attacchi ad una sinagoga a Djerba, perché si trova sempre il modo di sfogare il proprio odio anti-semita.

Sul fronte politico si registra la nascita di un nuovo collettivo fino ad ora sconosciuto. Si chiamano Fech Nestanaou (“Che cosa aspettiamo?”) e invitano i cittadini tunisini a delle grandi manifestazioni di massa in tutte le regioni del paese: numerosi esponenti del collettivo sono stati arrestati a Tunisi, Bizerte e Sousse per avere affisso manifesti e distribuito volantini contro il caro vita. Il collettivo di attivisti, assai ben organizzato, sembra essere anche abbastanza ricco, ma le autorità non riescono a capir da dove quei soldi vengano e vogliono vederci chiaro. Così tra la povertà che sempre ha caratterizzato la vita del paese nonostante negli anni di Ben Alì si sia arrivati ad una crescita annua del PIL del 3%, crescita i cui benefici mai sono arrivati nelle tasche dei cittadini, e le continue tensioni dovute al pericolo di involuzione islamista alle porte, la Tunisia e le sue autorità reagiscono alle giuste richieste di un popolo intero con l’unica arma che hanno utilizzato negli ultimi trent’anni, dittatura o no: la repressione.

Ennahda vigila. E gli islamisti anche. La repressione del popolo, di un popolo la cui età media è di 25 anni, non giova a nessuno. Alla giovane e fragile democrazia tunisina giova ancor meno.





(10 gennaio 2018)

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