di Massimo Mastruzzo*
Il Mezzogiorno d’Italia si conferma tra le aree più fragili dell’Unione Europea. I dati Eurostat pubblicati di recente tracciano un quadro impietoso: Calabria e Campania superano di oltre il doppio la media Ue del 21% di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale. Anche Sicilia (40,9%) e Puglia (37,7%) si collocano ben al di sopra della soglia critica del 33%.
Solo la Guyana francese, territorio d’oltremare situato in Sud America, fa peggio. Un paradosso che mette a nudo la disomogeneità territoriale di un Paese che, pur dichiarandosi unitario, continua a viaggiare a due velocità.
Nord e Sud: due Italie
Mentre il Mezzogiorno arranca nelle retrovie europee, le regioni del Nord si collocano tra le più ricche, con la provincia autonoma di Bolzano che vanta il rischio di povertà più basso dell’intero continente.
L’Italia appare così profondamente divisa: da un lato territori che attraggono, oltremodo, investimenti e opportunità; dall’altro, aree che da decenni vedono nello spostamento verso il Nord l’unica prospettiva di miglioramento economico. Non si tratta di un’anomalia passeggera: è un trend strutturale che si ripete da oltre un secolo.
In Campania, dove il tasso di rischio povertà si attesta intorno al 36,1%, i dati si intrecciano con un mercato del lavoro debole e un tasso di occupazione femminile particolarmente basso. Un divario di genere che acuisce la vulnerabilità economica delle famiglie e frena lo sviluppo complessivo del territorio.
La povertà non è soltanto una condizione materiale: è anche esclusione dai circuiti formativi, culturali e decisionali. Significa minori opportunità educative, servizi sanitari più deboli, infrastrutture inadeguate e scarsa attrattività per investimenti pubblici e privati.
Questa condizione di fragilità incide direttamente sulla capacità delle regioni meridionali di sviluppare politiche autonome e di trattenere capitale umano e risorse economiche. Il risultato è un circolo vizioso: chi può se ne va, chi resta affronta un contesto con sempre meno risorse.
Un bivio politico per la Campania
Le prossime elezioni regionali in Campania assumono, in questo contesto, un significato strategico. Decidere quale visione di futuro si vuole per una regione osservata con crescente preoccupazione dall’Europa significa scegliere se restare prigionieri delle statistiche o diventare protagonisti di nuovi progetti di sviluppo.
L’evidente disparità territoriale non può più essere affrontata come un’emergenza cronica. Servono politiche di sviluppo di lungo periodo, capaci di generare crescita economica e occupazione stabile. Investimenti mirati in infrastrutture e servizi sono la condizione minima per ridurre il divario con il resto d’Italia e dell’Europa.
La sfida, oggi, è trasformare numeri e analisi in strategie operative e misurabili. Per invertire la tendenza, occorre una volontà politica chiara e una regia nazionale capace di superare le logiche emergenziali e clientelari.
Il Mezzogiorno non può continuare a essere considerato la “periferia” del Paese: deve diventare un pilastro strategico per la competitività nazionale. Le sue risorse naturali, culturali e logistiche rappresentano un potenziale enorme che, se sostenuto da politiche strutturali, può contribuire allo sviluppo dell’intero sistema Paese.
L’Italia, oggi, è davanti a un bivio: continuare a convivere con un divario territoriale che la indebolisce, oppure affrontarlo come una priorità nazionale, restituendo al Sud la dignità e le opportunità che gli spettano.
*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale
(22 ottobre 2025)
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