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La rivoluzione arancione: “Ucraina senza Kucma”

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di Vanni Sgaravatti

All’alba del XXI secolo in Ucraina, la rivoluzione arancione di cui si è parlato nel precedente articolo, fu la base dei futuri cambiamenti e delle tragiche conflittualità successive. Fu in quella rivoluzione che emerse un sentimento genuinamente patriotico e non necessariamente nazionalista in una gran parte del popolo ucraino. Fu nelle piazze di Kiev che si cominciò davvero a sentire, forse per la prima volta, che il popolo ucraino avrebbe potuto far sentire la propria voce, liberandosi dal sistema oligarca che aveva governato il paese nell’era post-sovietica.

Fu l’ex primo ministro Juscenko che appoggiò e fu appoggiato dal movimento “Ucraina senza Kucma” e, quindi, in qualche modo, divenne il rappresentante delle aspirazioni del popolo della rivoluzione arancione e che si presentò alle elezioni, ottenendo la maggioranza dei voti, senza però riuscire davvero a governare per la frammentazione delle opposizioni.

Fu allora chiamato alla carica di Presidente, il governatore del Donetsk, Janucovyc, un personaggio fino a quel momento rimasto in ombra. In adolescenza era stato un criminale di quartiere, aveva collezionato pene per reati di rapina a mano armata e violenza privata. Uscito dal riformatorio aveva fatto carriera nel partito comunista e, laureatosi al politecnico, era entrato a far parte della nomenclatura sovietica, riciclandosi successivamente come dirigente industriale negli anni post-sovietici. Fu grazie ai suoi contatti con il mondo politico criminale che riuscì a diventare vicegovernatore e da quella posizione curò gli interessi di Achmetov, il magnate dell’industria carbonifera e dell’acciaio. Stava nella cricca di Kucma nella battaglia elettorale contro Juscenko, che aveva puntato di nuovo alle elezioni del 2004 per la carica di presidente, facendo una campagna contro la corruzione, ma questa volta alleandosi con Tymosenko, che rappresentava il mondo delle industrie del petrolio.

Kuchma non poteva essere il candidato, visto lo scandalo delle intercettazioni che lo inchiodavano come il mandante dell’assassinio del giornalista Goradze, ma appoggiò il suo sodale, Janucovyc appunto, per evitare che la lotta contro la corruzione promessa da Juscenko smantellasse la sua rete di potere.

Cercò di utilizzare l’arma propagandista del nazionalismo fascista. Janucovyc promulgò una legge mai applicata che obbligava a parlare in ucraino in televisione e negli incontri ufficiali, per poi subito dopo, lamentarsi come difensore della persecuzione dei russofoni.

In realtà le questioni identitarie sono sempre state complesse: Juscenko era ucrainofono, ma era devoto alla Chiesa del patriarca di Mosca, mentre la Tymosenko, la sua alleata elettorale, era russofona, ma era molto più nazionalista ucraina di lui.

La Tymosenko cadde nel tranello, si oppose alla propaganda antinazionalista di Janucovyc e Kucma, ma questa sua difesa portò ad essere identificata dai media che erano tutti di proprietà degli oligarchi che appoggiavano Janucovyc con il nazionalismo di destra, mentre Juscenko commise l’errore di dare un’onorificenza alla memoria di Stepan Bandura, l’uomo di estrema destra che per cacciare i sovietici voleva allearsi con i nazisti nella Seconda guerra mondiale.

Fu accusato da quei media di essere un uomo degli imperialisti americani e per lui e i suoi compagni fu creata la categoria Bushista (fascista di Bush). Juscenko invece cavalcava il mito ancora popolare dell’associazione alla UE e si proponeva di realizzare tutte quelle norme liberalizzatrici e di controllo del mercato e della concorrenza, che erano necessarie per avviare la procedura di associazione alla Ue.

Tali norme avrebbero chiaramente distrutto il sistema economico clientelare degli anni di Kucma, che si basava invece sui monopoli protetti e sulla corruzione, su gare d’appalto truccate, sulla connivenza tra politica ed economia. Accusò, quindi, Juscenko di essere antirusso, di voler aprire le porte al colonialismo occidentale e di aver dimenticato il contributo fondamentale della Russia nella lotta contro il nazifascismo e per la liberazione dell’ucraina

Connesso al tema della Ue vi era poi quello della NATO, con la quale l’Ucraina aveva firmato un accordo di partenariato sotto Kucma, come, del resto era stato proposto anche alla Russia dopo il crollo dell’impero sovietico. La Russia temeva che la Nato, per richiesta degli Ucraini (e non per volere degli occidentali), potesse estendersi fino a includere l’Ucraina e reagì decidendo di sostenere apertamente la candidatura di Janucovyc. L’appoggio si manifestò anche in forme molto pratiche come l’invio di spin doctors del Cremlino per sostenere la campagna elettorale di Janucovyc. Nel viaggio a Kijev di Putin nel maggio 2004 per le celebrazioni della vittoria sul nazismo fu ribadita l’alleanza strategica con la Russia e furono rinnovate le accuse a Juscenko di essere un pupazzo in mano ai fascisti.

Juscenko non si preoccupò di rispondere alle accuse di fascismo, ma sapeva tuttavia che la cricca guidata da Kucma non avrebbe accettato facilmente una sconfitta elettorale e temeva che si stesse preparando a falsificare i risultati delle elezioni. Per questo egli studiò apertamente le sue mosse e si preparò a realizzare quella che nel gergo politico di quegli anni veniva chiamata una rivoluzione colorata.

I punti di forza delle rivoluzioni colorate erano: essere catalizzatori dello scontento; avere opposizioni unite; puntare su una rivoluzione pacifica con lotte e smascherare i brogli (i cui metodi sono riportati nel manuale della fondazione Soros, quello che guarda caso fu preso a bersaglio come leader di cospirazioni simil sioniste); essere portatori di un fattore aggregante che, nel caso ucraino fu il desiderio di integrarsi nella Ue eliminando, almeno a livello istituzionale sistemico, la corruzione; essere partecipati dai giovani, con il relativo competente utilizzo di internet; essere divisive delle forze di potere, così che una parte appoggiasse le istanze rivoluzionarie. Tutte condizioni soddisfatte dalla rivoluzione arancione.

All’interno del movimento esisteva una fazione giovanile denominata “Pora” (“è ora”) che aveva come arma più efficace del movimento la propria organizzazione, che evitava l’infiltrazione e vietava ogni azione violenta. Pora curò diverse iniziative propagandistiche contro Janucovyc, coprendolo spesso di ridicolo. Le forze di polizia cercarono più di una volta di collegare Pora ad azioni violenti o all’uso delle armi, senza riuscirci in alcun modo. Assai più decisive furono le mosse violente del governo contro il movimento, come gli attentati contro gli Juscenko: il 12 agosto, lo stesso autocarro che aveva provocato la morte di Coronivil (concorrente di Kucma nelle elezioni alla fine degli anni ’90) si affiancò alla sua auto cercando di mandarlo fuori strada; il 5 settembre 2004, fu avvelenato, ma riuscì a salvarsi dopo un ricovero in una clinica privata in Austria (le analisi provarono l’avvelenamento da diossina, che lasciò il leader sfigurato per la vita.

Tornato in Ucraina dopo pochi giorni, Juscenko riprese la campagna elettorale. I risultati del 31 ottobre diedero i due candidati sostanzialmente in parità e poca sopra il 39%. L’opposizione denunciò molti brogli, ma si concentrò sul secondo turno. Contro tutte le aspettative la sera del 21 novembre, quando le urne furono aperte Janucovyc risultava essere vincitore per poco meno di un milione di voti. Ma, alcune intercettazioni, dimostrarono la falsificazione del risultato elettorale, con brogli e manipolazioni del sistema di raccolta dati della commissione elettorale centrale, che era stata in parte corrotta.

Le proteste iniziarono a Kijev, dove militanti e semplici cittadini furono chiamati a radunarsi nel majdan che era stata approntata per festeggiare la vittoria. A rendere la protesta unica nel suo genere fu il fatto che, nonostante le temperature rigidissime di molti gradi sotto lo zero, una folla umana di centinaia di migliaia di persone occupò la piazza, le vie circostanti giorno e notte per più di un mese consecutivo, chiedendo l’annullamento delle elezioni truccate.

L’organizzazione studiata dalle opposizioni funzionò a meraviglia anche grazie alle donazioni della popolazione che portava ai manifestanti provviste e ogni altra cosa di cui avessero bisogno. Il movimento Pora organizzò un efficientissimo servizio d’ordine che permise di evitare che la protesta potesse diventare violenta.

I mezzi di informazione erano quasi tutti schierati dalla parte di Janucovyc e operarono un oscuramento completo della protesta: in un’edizione del telegiornale del primo canale di Stato la traduttrice nella lingua dei segni smise di tradurre quello che veniva detto, invitando, invece, chi la stava guardando a unirsi alle proteste in Majdan. La redazione giornalistica del canale privato si rifiutò di dare notizie false ed entrò interamente in sciopero.

Ad offrire una soluzione formale delle crisi fu una sentenza della Corte Suprema alla quale l’opposizione si era rivolta per contestare i brogli, che decise che le elezioni devono essere invalidate e ordinò la ripetizione del ballottaggio in un terzo turno elettorale che fu vinto con ampio margine da Juscenko. Anche se l’alleanza tra Juscenko e la Tymosenko durò poco, l’impianto costituzionale creato velocemente nel dicembre 2004, infatti, prevedeva una sostanziale sovrapposizione di poteri fra il governo e l’amministrazione presidenziale che bloccò il paese fin dai primi mesi di governo arancione.

A far scontrare i due erano anche posizioni diverse su come realizzare dei cambiamenti nel paese: la Tymosenko spingeva affinché si realizzasse velocemente un’ultima fase di privatizzazioni in cui i suoi alleati e lei personalmente avrebbe dovuto giocare la parte del leone. Juscenko, invece, più prudente, per non mettere a rischio il compromesso con Kucma che l’aveva portato al potere.

Su questo clima di scontro istituzionale si inserì la prima delle cosiddette guerre del gas. La Russia, evidentemente contrariata dal risultato elettorale, chiudeva i rubinetti di gas gasdotti, accusando l’Ucraina di rubare gas e chiedendo un aumento del prezzo di vendita. Il regime di Putin utilizzava il rincaro anche come un’arma politica e gli anni della Presidenza furono scanditi da tali contesti internazionali, anche se spesso risolti dalla Tymosenko, che, assieme alle crisi, si preoccupava di occupare posizioni di privilegio nel mercato dell’energia interna.

Intanto, la crisi economica e finanziaria scoppiata in America nel 2008, colpì in maniera decisa l’Ucraina, provocando un arretramento economico dal quale il paese non si è ripreso nemmeno oggi. La Tymosenko fu abile a chiudere e a gestire gli aiuti del fondo monetario internazionale, ma non riuscì o non volle realizzare quelle riforme che il paese richiedeva. Nel 2009, agli scandali economici legati alle speculazioni sul gas, la Timoshenko dovette aggiungere quelli per mancata gestione dell’epidemia dell’influenza, che fece in Ucraina più vittime che in qualsiasi altro paese europeo. Impossibilitato a realizzare riforme economiche e sociali, Juscenko si rinchiuse nel ruolo di padre della patria e si adoperò per il riconoscimento internazionale della Holodomor, come genocidio ucraino. Fece costruire molti monumenti commemorativi nelle principali città del paese, ma l’interpretazione pubblica attribuì a queste azioni il carattere di opposizione fortemente antirussa, causando le reazioni ostili di Mosca.

Forte di questo, Yanukovich prosegui a inondare i media con la questione della lingua russa e con scelte anti-ucraine: alla carica di ministro dell’Istruzione fu chiamato un politico e storico famoso per le sue posizioni anti-ucraine, che impose una pesante cappa di censura alla ricerca scientifica. I media furono invasi dalle polemiche anti-ucraine e una nuova legge per le minoranze linguistiche avrebbe dovuto portare all’istituzionalizzazione del russo.

Così, alle successive elezioni parlamentari del 28 ottobre 2012 si votò con un nuovo sistema in parte maggioritario secco, in parte proporzionale che era stato pensato apposta dagli uomini di Janucovyc per assicurarsi la vittoria. La coalizione di governo in termini assoluti ricevette meno voti dei partiti di opposizione, ma la divisione in circoscrizioni elettorali, la mancata alleanza delle opposizioni permise loro di raggiungere la maggioranza assoluta dei parlamentari.

La separazione fra le opposizioni fu in parte dovuta anche alla comparsa di nuovi soggetti che erano cresciuti velocemente, l’ex pugile Klicho, che aveva fondato un proprio partito, il partito nazionalista Svoboda (libertà), che, precedentemente chiamato partito social nazionale di Ucraina era stato trasformato dal suo leader da un partito della destra nazionalista ad un partito da destra sociale, avviando anche un rinnovamento nella simbologia e nella retorica. Un partito che raccolse il 13% di elettori che ponevano al centro la questione nazionale, come reazione all’istituzionalizzazione del russo come lingua ufficiale.

L’avanzata di Svoboda non significò, quindi, un’avanzata dalla destra estremista, che in Ucraina, è sempre stata particolarmente debole, visto che persino al tempo dell’invasione tedesca solo una piccola quota di quel 7% costituito dall’elettorato di destra nazionalista cercò di allearsi con i nazisti per cacciare i russi che tanto orrore avevano provocato nel corso dell’holodomor. Ma questa polemica e il relativo clamore fu creato da Janucovyc per permettergli di mantenere il paese diviso in due zone polarizzate, assicurandogli il voto delle regioni orientali e meridionali, nascondendo il vero obiettivo, cioé quello di instaurare un regime autoritario.

Janucovich, forte di questa coalizione compatta, anche se non di maggioranza, andò di nuovo al governo e dichiarò invalida la riforma costituzionale per un vizio di forma, restituendo al presidente maggiori e ampliati poteri allo stesso Janucovyc. Si assicurò così il controllo della maggioranza, mise sotto accusa la Timoshenko per tradimento dello Stato nelle trattative per la risoluzione della guerra del gas e la condannò in maniera definitiva a sette anni di carcere. E la magistratura prese a bersagliare tutti i leader dell’opposizione, mettendo l’opposizione sotto la continua minaccia della persecuzione giudiziaria.

Janucovyc così riprese la conduzione corrotta e clientelare della politica e dell’economia creata da Kucma, i cui principali beneficiari furono Akhmetov, che di Janucovyc era stato il più convinto sostenitore, che acquistò a prezzi stracciati dallo stato gli ultimi impianti non ancora privatizzati e la stessa famiglia di Yanukovich che si aggiudicarono la maggioranza delle commesse statali e la costruzione di grandiose residenze private e altri beni di lusso.

Mentre i grandi capitali privati degli oligarchi vicino al presidente crescevano smisuratamente, il resto del paese non trovava una via d’uscita dalla crisi economica. Inoltre, l’azione della polizia si fece sempre più violenta: oltre alle tangenti estorte per evitare fantasiose multe, i poliziotti divennero sempre più spesso autori di azioni di violenza contro i cittadini e persino di stupri. Nel corso del 2013 il numero delle violenze perpetrate nei confronti della popolazione civile crebbe esponenzialmente e provocò piccoli episodi di rivolta della popolazione stufa di quelle angherie

In ambito internazionale, l’Ucraina prosegui sulla strada dell’equidistanza fra Russia e Occidente nel tentativo di spuntare accordi commerciali e aiuti maggiori da entrambe le parti rispetto ai primi anni 2000, ma la Russia aveva però cambiato strategia, ponendosi l’obiettivo di penetrare nell’ ex spazio sovietico con lo sviluppo di soft powers e tutte le iniziative utili ad una colonizzazione culturale e sociale.

La Russia investì molto nelle informazioni internazionali trasmesse nei canali satellitari e siti russi, e adottò, inoltre, una politica economica di visti particolarmente liberale che permise agli ex sovietici, fra cui anche molti ucraini di andare in Russia, a lavorare o studiare godendo dei guadagni che il mercato internazionale del gas era in grado di garantire. L’economia russa era però fortemente dipendente dalle variazioni del prezzo di gas e petrolio sul mercato internazionale ed il sistema putiniano non fu in grado di trasformare i grandi proventi derivanti dalla vendita di combustibili o di commodities in un’industria manifatturiera o tecnologica, mentre, al contrario, lo sviluppo più equilibrato in occidente continuò ad essere un modello di riferimento per l’est europeo.

Nell’autunno del 2013, i due progetti di integrazione economica, europeo e russo, vennero in collisione proprio sul terreno dell’Ucraina: mentre Putin proponeva una zona di scambio comune in cui era già stata integrata la Bielorussia senza nessun successo particolare, l’Ue proponeva un accordo di associazione al quale avrebbe aderito anche la Georgia e la Moldava. Due modelli che vennero in conflitto, ma non corrispondono all’immagine che una parte di occidentali anti-ucraini si sono fatti quando parlano di Nato che pianifica politicamente il controllo militare.

La Nato, come organismo di alleanza militare aveva proposto persino alla Russia, dopo il crollo sovietico una partnership con la Nato, mentre tutti i paesi dell’Europa dell’est, liberati dal giogo sovietico, cercavano la sponda per il loro sviluppo economico a chi poteva aiutarli, anche per ricostruire una propria autonoma identità nazionale indipendente. Paesi e popoli da non considerare come deboli e alla mercé di corruttori “amerikani”, ma con una propria volontà, in alcuni casi maturata in decenni, se non secoli di ricerca della liberà.

È stato poi nel prosieguo di turbolenti e incerte vicende di confronti e concorrenza ed in virtù di nuovi rapporti di forza dei due modelli, più economici che politici, che è emerso una lotta politica e poi militare. A quel punto, alla Russia, con un modello socioeconomico inadeguato a quella concorrenza, non rimaneva altro che riprendere lo storico imperialismo, sul piano in cui poteva contare dei punti di forza: società e apparato industriale militare molto più coesi e controllati, verso una Europa dipendente e non più in grado di difendere il proprio modello in modo autonomo e indipendente (segue: “La rivolta dell’Euromajdan: verso un cambiamento radicale dei rapporti globali”).

Bibliografia:

Si riportano i principali testi di riferimento e si rimanda alle relative bibliografie, verificate anche dall’autore.

  • Simone Bellezza: “Il destino dell’Ucraina”, Editore Morcellier
  • Giorgio Cella: “Storia geopolitica dell’Ucraina”, Editore: Carrocci
  • Anne Applebaum: “Autarchie” Editore, Mondadori

 

 

 

(3 maggio 2025)

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