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“Il presidente” del Consiglio si lamenta di attacchi sessisti e ne parla come di “imbarbarimenti”. Che se ne sia accorta?

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di Giovanna Di Rosa

E’ un’intervista a tutto campo quella di Giorgia Meloni all’Adnkronos, un’intervista dove la presidente del Consiglio che definisce la sua carica al maschile e tutti i gatti miao si lamenta degli “attacchi sessisti” ricevuti “nel silenzio di quelli che si riempiono la bocca dei diritti delle donne”, e non è certo il suo caso quello di riempirsi la bocca dei diritti delle donne, giusto per rinverdire il suo vittimismo per strategia politica quando i risultati straordinari che il suo governo, e lei, raccontano suggerirebbero invece toni trionfalisti.

E’ la seconda intervista di Giorgia Meloni in una settimana. Perché quando servono servono e se lei le rilascia, significa che le servono.

Oltre a parlare di sé, pare incredibile, Meloni parla anche di Trump – che è sempre un po’ parlare di sé: “Noi siamo determinati a far valere i nostri interessi, nel solco della tradizionale amicizia che ci lega agli Stati Uniti, con lealtà ma senza subalternità”, ha spiegato la presidente del Consiglio parlando dei suoi rapporti con il presidente americano. E, a nostro parere, siamo convinti che lei in occasione dell’ultimo incontro alla Casa Bianca abbia fatto ciò che doveva. Da qui a parlare di successi su tutti i fronti, come i suo lacchè vanno a fare in televisione, il passo è più lungo della gamba. Ma va bene così.

Stupisce, un’affermazione sull’augusta famiglia Meloni che lei riassume in una delle tante ad effetto che le riescono benissimo (e lei lo sa): “Sono cresciuta in un quartiere storicamente di sinistra (Garbatella a Roma, ndr) e ho iniziato la mia militanza politica a scuola, in infuocate assemblee studentesche. Sono abituata al confronto politico, anche a quello più aspro. Quello che mi è dispiaciuto in questi anni è stato vedere che, pur di colpire me e questo governo, alcune persone senza scrupoli non abbiano avuto alcuna remora a mettere in mezzo la mia famiglia, mia sorella, il padre di mia figlia, addirittura mia figlia (….) troppe volte sono stata oggetto di attacchi sessisti vergognosi, nel silenzio e nell’indifferenza di quelli che si riempiono la bocca dei diritti delle donne. Mi verrebbe da dire che ormai ci sono abituata ma non voglio dirlo, perché non bisogna abituarsi a cose di questo genere”. Poi conclude: “Non dobbiamo rassegnarci a questo imbarbarimento”.

Meloni ha la memoria corta, e la lingua svelta, e commette un paio di errori di valutazione. Il primo riguarda sua sorella che non è una povera bambina indifesa, ma è la plenipotenziaria di Fdi, una donna di grande abilità politica che non è, perché non può esserlo, immune dalle critiche politiche che arrivano a chi fa politica attiva. Il secondo aspetto che sfugge a Meloni nella sua completezza, è quello legato alla “rassegnazione all’imbarbarimento”. Punto uno: lo dica ai suoi, qualora abbia un attimo di tempo, e già che c’è parli con loro anche dei pestaggi omofobi, dei pestaggi lesbofobici, dei femminicidi, di tutto ciò che è imbarbarimento e di abitudini all’imbarbarimento: sue parole chiare e forti su questi punti – invece di tradurre Mattarella ad usum Melonarum – sarebbero utili. Oltre che sensati.

C’è un terzo punto: il non essere subalterni a Trump non è un merito.

Piaccia o no a Meloni il non essere subalterni a Trump, o agli USA che dir si voglia, per l’Italia è una necessità, non è un merito. Anzi, per molti motivi che Meloni conosce ad uno ad uno, è spesso un limite (ad esempio la web-tax che Meloni gridava sgolandosi e diventando paonazza in campagna elettorale e che, ora che è al governo, ha dimenticato).

Andiamo piano col vittimismo, signora presidente del Consiglio, vengono le doppie punte. Me l’ha detto un’amica trans, un’altra categoria vittima di abitudini all’imbarbarimento. Chieda in giro.

 

 

 

(2 maggio 2025)

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