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La Turchia lascia morire in carcere Ebru Timtik, avvocata per i diritti umani

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di Marco Biondi

A scuola, fin dalle elementari, abbiamo imparato quanto la storia sia piena di esempi virtuosi di persone che sono state chiamate “eroi”, “eroine” o “martiri”. Esempi di persone straordinarie, che hanno sacrificato la propria vita per difendere i sani principi della democrazia, per combattere le ingiustizie, le sopraffazioni, le angherie che i vari potenti, nel tempo, commettevano per difendere il proprio potere.

Mai più mi sarei aspettato di abbinare “Muzio Scevola” o qualche santo martire vittima della “sacra inquisizione”  a una persona che ci ha da poco lasciato e della quale, pochi, davvero pochi, conoscono il nome. Vi sto parlando di Ebru Timtik, una donna, un avvocata dedita alla difesa dei diritti civili, che si è lasciata morire dopo ben 238 giorni di sciopero della fame, in carcere.

Per chi non la conosce, la storia, non stiamo parlando di un fatto avvenuto in un paese in mano a integralisti islamici e nemmeno di un piccolo paese sperduto nel cuore dell’Africa dove viga un patriarcato più tossico del nostro (cosa di cui sarebbe lecito dubitare). Noi parliamo di un posto dove molti italiani vanno in vacanza, un posto vicino a noi: la Turchia.

Quella Turchia che da tempo ha chiesto l’annessione alla Comunità Europea, ma che ha condannato Ebru Timtik e altri 18 avvocati come lei a 13 anni di prigione, avendo loro, gli avvocati, avuto l’ardire di difendere altre persone accusate di terrorismo. L’associazione delle due cose fa accapponare la pelle: se tu, avvocato, difendi una persona accusata di terrorismo, sei una terrorista. E Ebru Timtik non c’è stata. Per chi ha studiato legge in un paese che si dichiara democratico, questa cosa non si può digerire. E Ebru ha scelto di privarsi della propria stessa vita per difendere un principio fondamentale in un Paese democratico. Ed è morta. Ma non è stata la sola. Anche Ibrahim, Helin e Mustafa del Grup Yorum sono morti dopo 300 giorni di digiuno. Tutti uniti per combattere la stessa ingiustizia.

Faccio fatica a commentare questa notizia. Faccio proprio fatica. Chiedo solo, a tutte e a tutti voi lettrici e lettori, di non dimenticare che queste cose stanno accedendo, adesso, in Turchia. Sotto Erdogan, quello che si propone come interlocutore per trattare la fine della guerra in Ucraina, quello che ha trattato l’ingresso del suo paese nella Comunità Europea (e per questioni come questa sta ancora aspettando). Ecco, che questa notizia serva per sapere con chi la comunità internazionale ha a che fare. E cosa, questi “chi” e i loro governi, riservano a chi si oppone al loro potere. Almeno lo sappiamo, noi. Ma quanti altri lo sanno? Facciamoglielo sapere, dunque.

 

 

(14 febbraio 2025)

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