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La Pace si fa abbracciandosi, non con le armi

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di Salvatore Domenico Bevilacqua (Redazione Voci Meridiane)

“Non ci può essere negoziazione efficace con la Russia senza fornire armi all’Ucraina e senza mettere sul tavolo il peso militare necessario per garantire la sicurezza”, spiega il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato militare dell’Unione europea.

Sono almeno venti i Paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia, che hanno deciso di inviare materiali di armamento alle Forze armate ucraine per difendersi dall’attacco russo. A questi si devono aggiungere i contributi militari degli americani, del Regno Unito, del Canada e dell’Australia. Washington ha appena autorizzato un nuovo pacchetto da 150 milioni: contiene 25 mila proiettili da 155 mm per l’artiglieria (ne hanno spediti in totale 209 mila), radar per individuare i cannoni e sistemi da guerra elettronica.

Ma analizziamo la situazione dall’inizio ossia da quel 24 di febbraio.

Tutti i paesi erano d’accordo nel somministrare armi come opera di carità e intanto l’opinione pubblica forse si era convinta che questa fosse una guerra giusta, una guerra di valori, una guerra per la libertà. La necessità diventava virtù e per favorirla il governo italiano decretava l’esenzione delle tasse sulle armi, cosa che non ha mai fatto sui beni di prima necessità, vista l’urgenza e drammaticità degli eventi. A quasi 77 giorni dall’inizio della guerra abbiamo scoperto che le prime armi inviate erano talmente vecchie che l’esercito ucraino o non le ha usate o le ha lasciate sul campo di battaglia, lasciando il doloroso compito di smaltirle all’esercito russo.

La Germania sembra che abbia ripulito il vecchio arsenale della DDR e la Repubblica Ceca si è sbarazzata dei vecchi tank dell’epoca sovietica. Il trucco è servito ai paesi NATO per ripulire arsenali e comprare (vedi obbligo aumento spesa militare 2% PIL) nuove e moderne armi, magari senza imposte, ingrassando ulteriormente l’unico settore che con la guerra ci guadagna.

Veramente pensiamo che con più armi si arrivi prima alla pace? Insomma, con le armi vecchie no, e l’abbiamo visto, ma con le nuove, quelle che i paesi Nato stanno inviando ora? Neanche!!! C’è bisogno di formazione, di infrastrutture, di tempo, insomma, un tempo che i Russi stanno impiegando per radere al suolo un intero paese che necessita di 5miliardi di euro al mese per sostenersi. Sui canali ufficiali non si vede ciò che compare, per esempio, su Telegram: battaglioni di uomini anziani e meno, senza formazione militare, che si arrendono, se non muoiono, ai più esperti ceceni o, peggio, mercenari assassini come il Battaglione Herzog (dichiarati nazisti). La domanda a questo punto nasce spontanea: chi pagherà il costo della pace? Veramente l’Ucraina ipotecherà il futuro per scontrarsi contro una super potenza militare in una guerra di procura?

Per quanto riguarda la Russia nell’opinione pubblica la guerra l’ha già persa, un mastodonte che avanza lentamente come uno schiacciasassi e che ha mandato al macello più di 20000 soldati di leva che ai propri cugini Ucraini non avrebbero voluto neanche dare uno scappellotto, se avessero potuto scegliere. Uccidere qualcuno per proteggere qualcun altro ha lo stesso senso che inviare armi per ottenere la pace. Questa guerra non ha senso perché tutti gli attori che vi partecipano sono degli insensati.

L’enorme quantità di armi che arriva in Ucraina pone, inoltre, problemi di sicurezza internazionale. Gli Usa hanno ammesso di avere pochi modi per tracciare la fornitura consistente di armi anticarro, contraeree e delle altre armi che hanno inviato oltre il confine in Ucraina. Il pericolo più grande legato all’enorme quantità di armi consegnate all’Ucraina è ciò che accadrà loro quando la guerra sarà finita.  Il procuratore Nicola Gratteri afferma, per esempio, che il rischio di sviluppo di un mercato nero, come successe in Iugoslavia negli anni novanta, è alto. All’epoca, le mafie comprarono Kalashnikov e molti altri tipi di armi, per pochi spiccioli dai civili che le detenevano.

Intanto l’EU mena il can per l’aia con sanzioni che hanno effetto solo sull’economia europea: si può dire che l’elmetto che si è poggiata in testa le va grande e rischia di caderle sui piedi.

La verità la dice una cittadina di Mariupol, fra i singhiozzi, mentre un giornalista italiano la intervista: le differenze culturali sono ricchezze e non problemi. Ucraini e russi sono figli della stessa cultura, della stessa storia, sono fratelli, cugini, parenti, hanno lo stesso sangue, non dovrebbero lottare fra di loro. I russi non dovrebbero imporre la loro autorità culturale e gli ucraini non dovrebbero discriminare i russofoni imponendo un’altra lingua e vietando costumi millenari. Se la politica fosse un poco Meridiana, come quella che ispira le azioni del nostro movimento, la guerra non sarebbe mai scoppiata.

Quel pensiero meridiano che si inizia a sentire dentro laddove inizia il mare, quando la riva interrompe gli integrismi della terra (in primis quello dell’economia e dello sviluppo), quando si scopre che il confine non è un luogo dove il mondo finisce ma quello dove i diversi si approssimano e si integrano. Il pensiero meridiano aiuta a capire che la mediazione, l’interazione e la convivenza nella diversità, devono rifuggire dalla passiva registrazione dei rapporti di forza esistenti, piuttosto si deve trascendere il piano del confronto, ricercare percorsi comuni che lasciano intatta la diversità originale e la tramutano in valore. Con il pensiero meridiano non ci sarebbe stata una guerra in Ucraina, con il pensiero meridiano si sarebbero accolti gli altri per creare assieme una società ricca e diversificata, mettendo in contatto i popoli, intrecciandone non solo la lingua e le fedi, ma anche le concezioni del tempo e i ritmi di vita.

La pace si fa abbracciandosi, non con le armi.

 

Voci Meridiane è la voce ufficiale di un costituendo movimento di nuova cultura politica che ambisce ad essere una nuova voce nel deludente panorama politico italiano ed europeo. È un progetto che parte da lontano, sospinto a dare risposte a quell’egoismo umano sempre esistito che prevede per se la migliore parte a discapito degli altri. Nasce dove il giusto processo identitario di un popolo viene corrotto da un bieco sentimento di discriminazione dell’altro. Nasce dalla consapevolezza storica che ogni pensiero unico, ambito dal potere in atto, trasforma ogni diversità in “minorità”, minando irrimediabilmente ogni convivenza democratica. Nasce da un Sud discriminato, ma si espande ad ogni area interna e ad ogni Sud del mondo ove sia necessario un riequilibrio territoriale.

 

(11 maggio 2022)

©gaiaitalia.com 2022 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 





 

 

 

 

 

 

 

 



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