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Complimenti per la (scarsa) fantasia della nostra Corte costituzionale #giustappunto di Vittorio Lussana

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di Vittorio Lussana

Sui quesiti referendari, quelli ammessi e quelli respinti nei giorni scorsi dalla nostra Corte costituzionale, sarebbe meglio metterci una pietra sopra fin da subito. Innanzitutto, perché i 5 referendum sulla giustizia convalidati potrebbero esser presto superati da una serie di riforme del Governo Draghi. In secondo luogo, perché è molto probabile che i quesiti sopravvissuti al cipiglio tecnicista della Corte Suprema, assai difficilmente raggiungeranno il quorum del 50%+1 degli elettori, poiché considerati scarsamente significativi e di difficile comprensione. Pertanto, la prima constatazione da fare è che i referendum non ammessi stiano facendo notevolmente più notizia di quelli ammessi. Andiamo, dunque, ad analizzare le motivazioni che hanno determinato le decisioni in negativo della Corte Suprema, presieduta dal professor Giuliano Amato.

Eutanasia
Siamo di fronte a un tema in merito al quale risulta francamente impossibile – in questa coda di legislatura e con un parlamento largamente composto da forze immature – legiferare. Il principio della buona morte, seppur respinto per motivazioni tecnico-formali relative alla formulazione del quesito in sé, si potrebbe innestare nel nostro ordinamento solamente svincolando nettamente il corpo elettorale dalle indicazioni ideologiche dei Partiti politici, che in tema di diritti civili possono svolgere unicamente una funzione di stimolazione e di approfondimento del dibattito. Ci sono tematiche, infatti, che necessitano una riflessione di coscienza del singolo individuo, più che un approccio ideologico-politico. E l’eutanasia è uno di questi. Solo un referendum abrogativo di una parte dell’articolo 579 del codice penale, quella che punisce l’omicidio di una persona consenziente, può condurci verso forme di eutanasia attiva, costringendo il parlamento a novare la norma medesima. In buona sostanza, la Corte non ha negato la possibilità potenziale di introdurre il principio della buona morte all’interno del nostro ordinamento giuridico: più semplicemente, ha indicato una serie di limiti e di mancanze del quesito, che di conseguenza andrebbe riformulato in base all’indirizzo espresso.

Droghe leggere
Per quanto concerne, invece, il quesito relativo alla legalizzazione della cannabis, esso è stato respinto poiché potenzialmente in grado di abrogare l’intero primo comma dell’articolo 73 dell’attuale normativa sulla droga, che prevede, tra le attività penalmente punibili, anche la coltivazione di altre sostanze stupefacenti: il papavero, la cocaina e sostanze più pesanti. In pratica, si doveva puntare all’abrogazione solo di una parte della cosiddetta Tabella 2 allegata all’articolo di legge in questione, cioè la colonna relativa alla cannabis e alla marijuana. Cosa francamente impossibile da attuare, se non stralciando una parte della tabella stessa, che quindi, al momento, risulterebbe sbagliata, poiché mescola le droghe leggere con altre più pesanti. In pratica, è proprio l’inefficienza di chi ha legiferato in passato ad aver generato il respingimento: una situazione paragonabile alla sconfitta in un Congresso politico perché è finita la carta nel fax del Partito. Non è colpa dei promotori del referendum se la Tabella 2 ha mescolato le droghe. Detto questo, si sottolinea vieppiù come la Corte costituzionale, respingendo la fattispecie di una legalizzazione limitata alle sole droghe leggere, finisca col favorire il commercio illegale proprio delle altre sostanze – dalla cocaina in su, per intenderci – che già oggi rappresentano il grosso dell’offerta gestita dalle mafie sui mercati clandestini. In pratica, legalizzando solamente le droghe leggere e ponendo un paletto così limitante, si rischia di fare solamente il solletico agli spacciatori di tutto il resto, che invece è uno degli scopi fondamentali della legalizzazione, insieme a quelli di carattere terapeutico. Infine, mantenendo inalterata l’attuale situazione si consente il taglio di hashish e marijuana tramite sostanze molto più dannose per i consumatori, le quali vengono utilizzate per ampliare il margine di guadagno delle organizzazioni criminali che ne contrabbandano il commercio sul mercato nero. Insomma, intorno a questo tema, si prosegue imperterriti a ragionare secondo uno spirito conservatore e masochista, invertendo le priorità e rimanendo ancorati a pregiudizi a dir poco vetusti.

Responsabilità civile dei magistrati
E’ il danno più grave compiuto – e peggio giustificato – dal presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, il quale ha addotto considerazioni che inducono a pensare a forme di killeraggio politico. Il respingimento del quesito referendario sulla responsabilità civile dei magistrati non può essere interpretato come un tentativo di imporre una responsabilità diretta in senso assoluto, ovvero non filtrata dallo Stato, secondo quanto previsto dalla legge Vassalli, successiva al referendum del 1987. Una norma che, già allora, ribaltò l’esito stesso della consultazione popolare. Accusare i promotori del quesito di chiedere una “responsabilità diretta” attraverso un’abrogazione, oltre a rappresentare un orrore giuridico, è un processo alle intenzioni: un’abrogazione non può mai – e sottolineo mai – essere interpretata come un sostanziale annullamento ex nunc della normativa vigente, o essere richiamata a una volontà di amputazione a freddo della medesima, al fine di renderla monca’ L’abrogazione, in giurisprudenza, differisce dall’annullamento proprio in quanto ex tunc. Ovvero: non interferisce con quanto stabilito in merito ai risarcimenti e alle rivalse del passato e non rende affatto “diretta” la responsabilità civile dei magistrati come invece dichiarato dal presidente Amato, poiché nulla avrebbe impedito l’inserimento di sanzioni disciplinari (ammonimenti, sospensioni, censure e, nei casi più eclatanti, rimozioni, ndr) oltre al ricorso a soluzioni altre, quali quelle conciliatorie o di mediazione. In pratica, il presidente della Corte costituzionale ha dimostrato di pensare unicamente ai risarcimenti in danaro come soluzione di un errore giuridico accertato, cioè basato su un riesame più approfondito delle prove: complimenti vivissimi per il grande sforzo di fantasia.

Questo lo scempio compiuto in questi giorni in merito a temi e richieste di modernizzazione che il nostro apparato giudiziario continua a non comprendere nella loro gravità e urgenza, fornendo un segnale totalmente opposto – ovvero di chiusura e ottusità – rispetto a un Paese che rimane avvolto in una ragnatela di piattezze logico-formali.

Più di qualcuno sottolinea la parzialità dello strumento referendario – che in Italia è solamente abrogativo, ricordiamolo – unito a un tecnicismo interpretativo dei quesiti utilizzato come unico parametro di riferimento, senza cioè alcuna indicazione costruttiva, a parte un vago invito alla classe politica a legiferare meglio e, possibilmente, con celerità. Una critica, quest’ultima, anch’essa assai parziale, poiché totalmente difensiva da parte di un potere dello Stato il quale, oltre a scaricare le proprie difficoltà sugli altri due poteri, quello legislativo e quello esecutivo, si limita a lasciare il tempo che trova e le cose, più o meno, come stanno.

Tanti saluti a tutti dall’Italia: un Paese bellissimo, ma totalmente inutile. E irriformabile.

 

(17 febbraio 2022)

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