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Tu donna, non puoi più istruirti ma sei solo una fabbrica di bambini di proprietà degli uomini

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di Samuele Vegna

La non notizia di oggi è che le donne hanno meno diritti. Prima erano solo virtualmente inaccessibili alcuni lavori, alcune libertà e alcuni diritti, ma ora siamo giunti alla totale, inafferrabile follia del divieto alle donne di parlare in pubblico scritto però sulla carta, in contemplazione di una interpretazione integralista della religione musulmana (sharia), istituita come legge suprema per la maggioranza da parte di una minoranza estremista ma con capitali, dotata di potere e di fame di sangue e che viola persino l’Islam stesso, religione che nel suo nucleo non promuove di certo la violenza, né l’odio e la tirannia.

Laddove non c’è una giusta e paritaria interpretazione della vita, si muore anche perché si è donna e si canta, e si è considerata un potenziale strumento di vizio che deve essere nascosto e messo a tacere.

Stiamo parlando non dell’Iran, che un tempo si chiamava Persia ed era liberale e democratico anche se ad uso privato dello Scià (con il sostegno economico, militare e politico lungimirante ma interessato alle risorse e strategico per il soft power e per la guerra fredda, mai finita, dell’Occidente), ma siamo in realtà nell’odierno Afghanistan, amministrato con il totalitarismo religioso da parte dei Talebani, un gruppo paramilitare e di estrema impronta fascista – perché sì, il fascismo come sappiamo è trasversale e non è limitato alle attuali nostalgie di una certa parte del governo italiano, ma è un metodo che si può ritenere attuato anche laddove la maggioranza è fin troppo silenziosa.
Che senso ha essere una maggioranza, se poi tanto non si dice o non si fa nulla, e ci si “adegua”?

Ed è così che noi parliamo di una notizia che ci sembra lontana e distante (per davvero?), una notizia che invece dovrebbe sconvolgerci: nessuna donna afghana potrà più parlare in pubblico o riunirsi in gruppi senza il consenso del marito, del padre, dei figli o dei fratelli; un’imposizione questa non soltanto virtuale ma reale nella legge e che prevede pene severe, (nel caso dell’adulterio sono previste la lapidazione e la tortura o addirittura la morte se la donna dovesse guardare un altro uomo non legato alla loro famiglia, o se questa donna si mettesse a parlare con chi non è della famiglia senza il permesso). Dunque la voce di una donna in Afghanistan è diventata proprietà privata degli uomini, una donna in Afghanistan non è più in possesso del suo canto, delle sue parole, della sua laringe, della sua lingua.

Un’invasione arrivata in modo strutturato e metodico, in tre anni, cominciando dalla separazione di uomini e donne nelle classi. Oggi, tra una legge e un’altra, tra una lapidazione esemplare e una condanna a morte, siamo arrivati al completo e totale dominio dell’uomo su tuttə e su tutto.

Tu donna, non puoi più istruirti ma sei solo una fabbrica di bambini di proprietà degli uomini.

La legge condannata dalle Nazioni Unite recita che “ogni donna adulta che esce di casa per necessità è obbligata a nascondere la voce, il volto e il corpo”.

Nessuna donna ha dunque più alcun genere di diritto o di capacità d’intendere e di volere; secondo i Talebani, tutte sono sottoposte al patriarcale divieto di andare a scuola e d’istruirsi e di leggere, all’obbligo del burqa e della tunica integrale, e tu donna, difatti, dovrai e potrai uscire di casa soltanto, esclusivamente, per necessità e non per volontà, che è diverso.

Tu donna, non sei una persona, ma una proprietà degli uomini della tua famiglia. Ma solo in Afghanistan?

Questo è il patriarcato millenario, uno “stai zitta” al quale ci dovremmo ribellare, contro il quale dovremmo protestare in massa: per la Libertà delle donne afghane e non. Pensare o dire “Tanto è lontano, che ce frega” perché questo pericolo, è cronico e latente anche qui da noi, nel Bel Paese. Non c’è vittoria nel silenzio.

Ricordiamo, ancora oggi il memorabile video nel quale Michela Murgia attuò la giustizia, protestò per la libertà paritaria con “Zitta non me lo dice, stiamo parlando entrambi, professore, se ne vada”.

 

 

(29 agosto 2024)

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