di Vanni Sgaravatti #gaiambiente twitter@gaiaitaliacom #ambiente
Stupisce davvero l’ostinazione di chi continua a minimizzare e settorializzare la questione ambientale, nonostante tutte le previsioni e gli avvertimenti: nei prossimi 30 anni ci saranno più plastiche che pesci, le alluvioni e desertificazioni provocheranno nei prossimi 10 anni un miliardo di persone che emigrano per sopravvivere, le risorse idriche saranno sempre più critiche, obbligando milioni di contadini, ad esempio, ad abbandonare i campi, molti dei quali si suicidano per mancanza di alternative, come sta succedendo proprio vicino alla Silicon Valley indiana.
Lo stesso stupore che si prova immaginando cosa poteva pensare l’uomo dell’isola di Pasqua che ha tagliato l’ultimo albero perché aveva bisogno di quelle risorse per alimentare i propri riti religiosi, che, in realtà, ci sembrano molto umani e poco naturali. Quando la natura potrebbe trovare un suo equilibrio, come l’ha trovata nell’isola di Pasqua, senza di noi, senza quella parte della natura, l’uomo, che si ostina a vedersi come separata da essa e si ostina a sopravvivere alla propria estinzione.
Cerchiamo di affidarci alla scienza e alla nostra progettazione di nuove soluzioni per trovare equilibri a noi congegnali, ma non possiamo illuderci che ci siano “bacchette magiche tecnologiche” che ci permettano, con un approccio vagamente gattopardesco, di “cambiare tutto per non cambiare nulla”.
Cioè di trovare soluzioni, che ci permettano di non ripensare ai nostri riti culturali consumistici, al senso della nostra esistenza, e, quindi, alla revisione della nostra etica che dovrebbe orientare il nostro modo di relazionarci, di produrre e distribuire risorse e, soprattutto, assumendoci la responsabilità dei costi delle disuguaglianze che questo cambiamento comporterebbe.
(23 aprile 2020)
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