di Marco Biondi #iolapensocosì twitter@gaiaitaliacom #politica
Mi sono scoperto a rimpiangere la Prima Repubblica, cosa, per me, totalmente inaspettata. E non per la qualità dei politici di una volta rispetto agli attuali. A volte mi assale il dubbio che si stia impossessando di me quell’attitudine, tipica delle persone anziane, di rimpiangere il passato, criticando il presente.
Ma se, a volte, questo succede a causa di una cattiva memoria che peggiora col tempo e preserva principalmente i ricordi positivi, ed è accompagnata dalla scarsa voglia di adattarsi ai cambiamenti della vita quando si è superata “una certa età”, nel mio caso temo si tratti di semplici riscontri oggettivi.
Ricordo che quando si avvicinavano le elezioni, iniziava la campagna elettorale, fatta in modo molto discreto sui telegiornali, ed in modo approfondito e specifico nelle tribune politiche. Tribune che io ho seguito dai tempi di Ugo Zatterin, e lo dico solo per mostrare la mia buona memoria e riuscire a datare, almeno per chi ha superato i 60, di che tempi stiamo parlando.
Ricordo anche che, con dispiacere, notavo che chi stava al Governo poteva godere di più spazi e lo ritenevo ingiusto. Soprattutto perché, in quegli anni, c’era un evidente strapotere della DC, a me poco simpatica. Il confronto con oggi è impietoso perché, semplicemente, la campagna elettorale è permanente. E pare che gli Italiani non si rendano conto delle drammatiche conseguenze che questo malcostume implica.
Se una volta si facevano i programmi di governo nelle riunioni chiuse ed i partiti politici si guardavano bene dall’andare a sbandierare i dissidi che sicuramente c’erano al loro interno, tra le varie correnti, alla popolazione arrivava solo quello che il Governo aveva deciso di fare, le nuove leggi, le nuove opere pubbliche, i nuovi dati di bilancio. E, al momento della campagna elettorale, i vari partiti potevano intestarsi quello che avevano combinato. O fatto. Nelle crisi di governo, assai frequenti per chi si ricordai tempi dei governi balneari, c’era abbondante spazio per raccontare le proprie posizioni. Poi si mettevano d’accordo e il circo ricominciava.
Oggi ogni singola proposta, ogni balbettio, ogni diversità di vedute, è spiattellato ai quattro venti e serve per attirare consensi o per parlare male degli alleati. E questo è decisamente insopportabile. Così una proposta di modifica al programma, ogni dubbio che si solleva, genera i titoloni che servono a far vendere (sempre meno) i giornali che straparlano di possibili crisi di governo, di gente che stacca la spina, di dissidi irreparabili tra alleati. E da lì si sviluppa il dibattito [sic] social con i vari maestrini che dicono che solo loro sono bravi e gli altri sono scarsi, litigiosi, e rappresentano minacce per la stabilità del Governo.
Poi ci si meraviglia se l’assenteismo elettorale cresce come cresce simultaneamente la nausea verso la politica anche tra chi la politica l’ha sempre seguita, anche se non da fanatico o da tifoso. Diamoci tutti una regolata per favore. Voi che discutete, chiudete la porta quando discutete e chiudete la bocca quando uscite dalla camera caritatis. E intestatevi – finalmente – solo le cose buone che riuscite a fare, ammesso che riusciate a farle, incolpando per quello che non riuscite a fare “la congiuntura internazionale” o le politiche economiche di chi mette i dazi, come i nostri vecchi politici sapevano fare meravigliosamente, invece di incolpare gli altri partiti, soprattutto gli alleati. Stare al Governo insieme non significa avere le stesse idee, altrimenti si sarebbe dello stesso partito, ma mettersi d’accordo sulle cose che si possono fare, con le risorse disponibili.
Quanto siete bravi, ditelo di meno. Tanto non vi crediamo lo stesso.
(21 novembre 2019)
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