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L’Arte vista da Emilio Campanella: a Possagno c’è il George Washington di Antonio Canova

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di Emilia Campanella #Arte twitter@gaiaitaliacom #Cultura

 

Fino al 28 aprile, a Possagno, la Gypsotheca e Museo Antonio Canova, ospitano un’esposizione dedicata ad un’opera di Antonio Canova, che non tutti conoscono: il monumento al primo Presidente degli Stati Uniti, George Washington, realizzato per il Parlamento di Releigh, in Nord Carolina. La commissione venne da Thomas Jefferson che caldeggiò fortemente la scelta dell’artista più noto e costoso dell’epoca, ma di cui conosceva la qualità professionale. Quindi la commissione nel 1816 e la consegna dell’opera nel 1821. Di questa vicenda si occupa la mostra proveniente dalla Frick Collection di New York, dove è stata dal 23 maggio al 23 settembre, e che ora, a Possagno, sarà aperta fino al 28 aprile 2019. Una collaborazione internazionale, dunque, e sotto l’egida di Venice International Foundation e Friends of Venice Italy Inc. della quale sono curatori: Mario Guderzo, Direttore del museo veneto e Xavier F. Salomon, capo curatore della Frick Collection, studioso di Veronese e curatore della mostra londinese dedicata al pittore tenutasi nel 2014 alla National Gallery.

Il percorso espositivo, agile e sintetico, ma non certo superficiale, è inserito in quello museale, con la prima sala, introduttiva, al piano terra di quella che era la casa di famiglia dei Canova, e l’esposizione delle statue di Washington nel salone della Gypsptheca.

Il motivo che convinse lo scultore ad accettare la commissione fu la stima nei confronti del primo Presidente degli Stati Uniti, la sua storia, la sua scelta di lasciare il potere dopo due mandati per ritornare a vita privata. Se la figura seduta può motivatamente far pensare a quella dell’imperatore Claudio del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (I sec.d.C.) – e si veda la posizione delle gambe – nella scelta della figura seduta, non sono da dimenticare né l’Ares Ludovisi (II sec.d.C. attribuito alla scuola di Lisippo), da Roma, Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps, né tantomeno il Teseo e il Minotauro dello stesso Canova, 1783 (Victoria & Albert Museum, Londra). Però, siccome il personaggio viene effigiato come condottiero che lascia il compito assolto è, dunque, Cincinnato il personaggio ispiratore, anche lui tornato a vita privata dopo aver servito la patria, ancora con l’abito militare e nell’atto di scrivere la sua dichiarazione.

L’opera consegnata dopo un viaggio per mare, arrivò e venne mostrata il 24 dicembre 1821, suscitando grandissimo entusiasmo. Ebbe, però vita breve, siccome nel 1831, il 21 gennaio, un devastante incendio alla State House distrusse l’opera di cui ancora sopravvivono frammenti, in attesa di una qualche possibilità di utilizzo ricostruttivo. Nel frattempo, nel 1970, lo scultore veneziano Romano Vio, venne incaricato di ricreare il monumento grazie al modello in gesso che abbiamo avuto di fronte. Con lo stesso itinerario via mare, ma con tempi, ovviamente, più rapidi, la nuova statua venne posta nel luogo della primitiva opera canoviana. Questa mostra celebra anche quell’impresa partendo dagli studi sul ritratto nella prima stanza succitata, e con un bozzetto che ne è al centro, mentre le altre tre rappresentazioni sono sotto l’abside del salone in una fuga prospettica e con una coazione a ripetere scenografica di grande effetto, anche per l’accuratissima illuminazione. Idea che riprende quella dedicata all’Ercole Farnese della mostra: Serial/portable Classic, della Fondazione Prada a Venezia, nel salone del primo piano nobile di Ca’Corner della Regina nel 2015, curata da Salvatore Settis.

Tornando a noi, il catalogo edito da Silvana Editoriale segue tutte le tappe di questa vicenda, con molte illustrazioni e riferimenti iconografici, saggi dei curatori, un’importante scelta epistolare ed il saggio di Guido Beltramini: Jefferson, l’Italia, ma soprattutto Palladio, che si ricollega alla bella mostra sul tema, al Museo Palladio di Vicenza: Jefferson e Palladio, 2015-2016, curata dallo stesso Beltramini, direttore di quel museo.

 





 

(26 novembre 2018)

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