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L’Arte a Padova vista da Emilio Campanella tra Liguabue e Gaugain

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di Emilio Campanella #Arte twitter@gaiaitaliacom #EmilioCampanella

 

Due mostre d’arte a Padova, a poca distanza l’una dall’altra: Antonio Ligabue, ai Musei Civici agli Eremitani e Gauguin e gli Impressionisti, a Palazzo Zabarella. Premesso che nessuna delle due esposizioni, peraltro consigliabili, ha nulla a che fare con la città, propongo, non solo per motivi toponomastici, di vedere prima Antonio Ligabue, l’uomo, il pittore, per ragioni emotive, in effetti. Se è possibile, meglio in due giorni differenti, ma se si non si abita in città, capisco l’esigenza di visitarle entrambe in giornata, cosa possibile e per distanza fra i due luoghi, e perché entrambe le mostre sono costituite da un numero non eccessivo di quadri.

Lo spazio espositivo dei Musei Civici agli Eremitani, riservato alle manifestazioni temporanee è, come è noto, particolarmente infelice e pur con tutta la buona volontà dei curatori, le sale anguste, i passaggi stretti, non aiutano; ancora meno l’illuminazione totalmente inadatta, costituita da alcuni faretti variamente orientabili, ma nulla di più. Premesso questo, esorto caldamente alla visita, soprattutto per lo spirito che anima la scelta delle opere di un artista dalla vicenda umana di profonda drammaticità. Ovviamente la lente attraverso la quale viene guardata la sua opera è questa, inevitabilmente, ma con molto tatto, con molto pudore, i pannelli informativi durante il percorso, scandiscono le stazioni della sua via crucis artistica ed umana. Nato nella Svizzera Tedesca, da una donna italiana, ebbe il cognome con cui lo conosciamo dall’uomo che la sposò. Il vero cognome era Laccabue, originario di Gualtieri in Emilia, diversamente dal Ligabue con cui è noto. Antonio a nove mesi (era nato nel 1899), venne affidato ad un’altra famiglia, ed ebbero inizio i suoi sradicamenti. Fin dalla scuola elementare venne considerato, oggi si direbbe, un ragazzo difficile e sbattuto prima in una classe differenziale e poi in un istituto dove iniziò a sfogare il suo bisogno di comunicare con il disegno per cui era particolarmente portato. Variamente cacciato e considerato asociale, iniziò a trovare negli animali le creature con cui poteva comunicare, cosa che con gli esseri umani gli era praticamente impossibile. Dopo vari vagabondaggi e lavori saltuari, ebbe anche l’occasione di vedere esempi di arte popolare, di visitare musei di pittura svizzera del XIX secolo e di rimanerne colpito. Tornato presso la famiglia adottiva, la matrigna si lamentò in sede ufficiale del suo comportamento, e questo fece precipitare la situazione. Antonio venne espulso dalla Svizzera come indesiderabile. La donna non si era resa conto della gravità delle conseguenze a cui il suo gesto avrebbe portato. La posizione del ragazzo era irrimediabile. Ligabue fu portato in Italia, quale cittadino di Gualtieri, ma lui era un ragazzo confuso che a vent’anni conosceva solo li dialetto svizzero tedesco!

La mostra si apre con una lunga galleria di autoritratti in cui Antonio quasi mai ci guarda, a volte pettinato, altre arruffato, a prova del momento di grande tensione. Un viso forte il suo, dal naso pronunciato , le orecchie vistose, gli occhi grandi, smarriti, un corpo disarmonico, prova degli stenti dell’infanzia. In alcuni quadri è vestito con cura, ha un berretto, poco lontano una delle amatissime motociclette. Tutti segni di uno status symbol cercato, e talvolta, trovato. La mostra presenta un quadro “storico”, del 1955-1956: Ligabue arrestato, che rievoca l’antico trauma. Su una carrozza tirata da furenti cavalli, Antonio è fra due carabinieri come Pinocchio, ma non si tratta del ventenne, quanto dell’uomo già maturo. Opera interessantissima e prova di un dolore profondo, di un trauma mai superato, ambientata in una campagna svizzera. Tutti i paesaggi che fanno da sfondo alle sue opere hanno poco di emiliano e sono piuttosto rievocazione di una terra perduta per sempre, nonostante i tentativi di ritornarvi. Parte preponderante della sua opera ha al centro gli animali. Cavalli, buoi, uccelli, fiere, ungulati. E’ interessante notare come le bestie fissino gli occhi sull’osservatore, con forza. Le scene sono tranquille, ma anche cruente, segno, anche in questi casi, della forte emotività anche violenta vissuta dall’artista. Mostra di profonda sensibilità, è curata da Francesca Villanti e Francesco Negri, e si potrà visitare sino al 17 febbraio 2019. Il bel catalogo è edito da Skira, le opere presentate, per la maggior parte, provengono da collezioni private. Nel percorso, anche alcune incisioni e sette bronzi di animali della Galleria Centro Steccata di Parma.

Una passeggiata di dieci minuti e si arriva a Palazzo Zabarella, dove si è accolti dall’elegante introduzione alla mostra Gauguin e gli Impressionisti, Capolavori dalla Collezione Ordrupgaard, aperta sino al 27 gennaio 2019.

Il bell’allestimento, le luci perfette in ogni sala; al piano terra una premessa storica sulla nascita della collezione creata da Wilhem Hansen per la sua casa che poi passò allo stato danese con tutta la preziosa quadreria. Di seguito i ritratti fotografici degli artisti esposti e le loro biografie. al piano nobile cui si accede attraverso l’elegante scalone, la mostra che si divide in nove agili, ariose sezioni e presenta grandi nomi. Unico appunto, sul titolo fuorviante perché Gauguin mai nulla ebbe a che fare con l’Impressionismo, termine, peraltro, all’origine, dispregiativo e divenuto un’elegante scatola in cui vengono gettati alla rinfusa i pittori francesi della seconda metà dell’ottocento, in modo che il pubblico compri quella scatola. Chiusa. Comunque un’esposizione ch’è un piacere per gli occhi, e non solo. Si passa da Ingres, a Delacroix, a Daumier (magnifico il suo Lottatore, olio su tavola del 1852, con quello straordinario sfondamento spaziale); Corot e Courbet, con due sale tutte per loro. Quindi Daubigny, Dupré, Sisley, Baudin, Manet. Molte vedute di mare e poi Pissarro, Degas, Cézanne, Manet, Morisot, Renoir.

Una sala per Gauguin e, a conclusione, le nature morte di Manet, Redon e Matisse. Il bel catalogo è edito da Marsilio.

 




 

(15 ottobre 2018)

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