di Giorgia Trinelli
8 marzo, accendo il telefono e vengo sommersa da mille e più mille messaggi di auguri. Per cosa mi chiedo… Poi leggo e realizzo, Buona Festa della Donna.
Mi fermo. Cosa festeggiamo?
Tanti messaggi, la cena con le amiche o nemiche di sempre e lo strip maschile?
Donne che in questa serata diventano peggio di quegli uomini che hanno criticato per anni?
Un giorno all’anno ci è dedicato, e in questo giorno festeggiamo dimenticando la realtà… Donne uccise, stuprate, violentate psicologicamente. Vessate da un mondo del lavoro ingiusto, con stipendi inferiori e pari o maggiori responsabilità, sobbarcate dal lavoro “retribuito” e da quello casalingo.
Donne che nella vita fanno tutto accontentandosi di niente. Oppure donne con gli attributi, diventate più bastarde degli uomini, che si atteggiano a maschidentro e non stanno né nell’uno né nell’altro ruolo. Donne che si agghindano di firme e orpelli per essere alla moda dimenticando di essere. Donne che rincorrono la giovinezza, in competizione con figlie e adolescenti credendo che solo così si è.
Donne, dove siamo andate? Dove la nostra dignità e la nostra bellezza anche consumata dal tempo ma viva e bella d’intelligenza vivida ed emotiva per comprendere chi siamo? Donne con la dignità della consapevolezza, della gioia del tempo che passa, del capello bianco portato con eleganza, della ruga che dice quanto abbiamo riso o pianto nel nostro cammino. Donne del fascino della vita, del percorso compiuto, che ancora si deve compiere.
L’immagine di mia nonna, ultranovantenne, con la sua meravigliosa testa di capelli bianchi, la pelle sottile, le rughe e il naso che ormai incontrava il mento. Sempre elegante. Vestito diverso ogni giorno, giacca di lana e fazzoletto pulito e profumato in tasca.
La sua dignità, la dignità della “vecchiaia”, la bellezza dell’essere donne e di una consapevolezza di cui “noi” sembriamo non essere più capaci.
(8 marzo 2016)
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