di Il Capo
Appena una settimana fa il Roma Pride 2015, con le sue 500mila persone, ha fatto gridare d’orgoglio le varie rappresentanze ghèi presenti, che si sono fermate – come sempre – alla sterile esibizione dei numeri, perché non sanno fare altro: per loro l’azione politica è l’esistere, il gridare, la radicalizzazione del nulla, il presiedere il loro proprio parlamentino interno, le elezioni interne, il firmare comunicati stampa come presidenti.
Dalla sua rubrica sul nostro giornale Aurelio Mancuso scrive cose condivisibili: “… la risposta della collettività lgbt è (…) debole – si riferisce alle risposte al Family Day, ndr – perché non all’altezza dell’attuale sfida politica, sarebbe stato assai meglio quest’anno interpretare il Pride di Roma come pienamente nazionale, come momento di risposta politica e culturale forte, non di contrapposizione, ma di proposizione delle nostre esperienze di vita, del nostro essere da tanti anni facenti parti a pieno titolo del tessuto sociale, con le nostre famiglie, tra cui quelle omogenitoriali. Abbiamo ancora perso un’occasione, ma c’è anche da dire che se la politica si farà di nuovo intimorire dall’estremismo religioso, dovremo…” (continuate a leggere).
Nella sua rubrica su Il Post, Ivan Scalfarotto, ne scrive altre di cose, dalle quali è difficile dissentire. Si chiede Scalfarotto “dove sono le persone eterosessuali italiane in questa battaglia? Perché non si fanno visibili, perché non scendono in piazza? Come mai non si comprende che il cammino per l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge non riguarda soltanto chi versa in una condizione di subalternità, ma ciascuno di noi? Come è possibile che questa assenza di diritti non scandalizzi chiunque, e non solo chi di questi diritti è privato? E dove stiamo sbagliando noi omosessuali, se siamo noi a portare la responsabilità di coinvolgere i nostri concittadini in questo cammino verso l’uguaglianza?”.
Tanto per renderci impopolari, vogliamo anche noi chiederci pubblicamente cosa ci fanno ancora lì queste Dive del Cinema malamente travestite da presidenti di associazioni ghèi, che hanno a cuore soltanto il riempire le strade delle città dove hanno sede, e dove pensano di esercitare un potere, di essere qualcuno, di fiumi di gente, di uomini e donne, dei quali si dimenticano puntualmente dal giorno successivo, troppo impegnate a gioire del numero di persone che sono riuscite a far sfilare? Perché non si vergognano?
In più di trent’anni di lotte, in quasi vent’anni di discussione sulle Unioni Civili, sull’uguaglianza di diritti per tutti i cittadini, questi derelitti della comunicazione, questi equilibristi del nulla, non sono riusciti a parlare nemmeno alle persone che pretendono di rappresentare. Vorremmo farvi leggere i demenziali, infantili, politicamente inetti, trasudanti ego, comunicati stampa che riceviamo più o meno quotidianamente da almeno una di queste associazioni (e che ci guardiamo bene dal pubblicare, per il loro bene e, ahimé, anche per il nostro), ma non arriviamo a tanto. Le cose, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.
Dal canto loro, pur con le loro menzogne e falsità, i signori organizzatori del Family Day riescono a farsi sentire da tutti ed a parlare un linguaggio che è comprensibile, in negativo o in positivo, guardatela come volete, da gran parte della società, etero o gay che sia.
Cosa ci aspettiamo? Da questa gente nulla. Continuano a scrivere e gridare e organizzare eventi, e a crepare – giustamente – di rabbia, perché gli altri paesi ottengono risultati e leggi, mentre l’Italia no. Non passa loro per la testa, nemmeno lontanamente, che buona parte della responsabilità sia proprio loro: di queste Dive del Cinema travestite malamente da presidenti di associazioni ghèi che non sanno parlare alla gente. Che non sanno come intervenire per creare un movimento d’opinione tale da portare in piazza, il giorno successivo al Family Day, due milioni di persone che dicano basta alle pulsioni teocratiche di una chiesa che dovrebbe vergognarsi della sua corruzione interna e che continua a condizionare la politica italiana e la vita di milioni di persone, parlando di se stessa e del suo integralismo, del suo disprezzo per la vita, come se fosse giusto discriminare, inventarsi teorie assurde e ridicole come quella del gender (alla quale nessuno dei signori presidenti in questione ha dato una risposta non dico sensata, ma nemmeno intelligente).
Non ci sono in gioco solo le Unioni Civili, ci sono diritti conquistati in cinquant’anni: dall’aborto, ai diritti delle donne, alla convivenza civile tra tutte le differenze.
Loro intanto firmano comunicati stampa, lanciano slogan, partecipano a tutte le manifestazioni possib ili per sentirsi buoni, e quando falliscono è solo colpa dei politici che non hanno coraggio e sono proni al Vaticano.
Davvero ci vuole faccia tosta.
(20 giugno 2015)
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