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Dal presidente di Equality Italia una proposta: Gay Pride Nazionale ogni anno a Roma, ne parliamo con lui

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Aurelio Mancusodi Maximiliano Calvo

Più volte dalla nostra sede spagnola e attraverso la nostra pagina gemella in lingua ispanica, ci siamo chiesti come mai le associazioni LGTB italiane non decidessero, senza perdere di vista l’ambito locale, di concentrare i loro sforzi su una realtà nazionale forte, un Gay Pride annuale da tenersi a Roma, che potesse costituire un appuntamento di grande rilevanza sociale e politica (a Madrid sfilano mediamente ogni anno 1milione e 6oomila persone), che fosse anche un momento di “soddisfazione” per le realtà economiche romane.

Il 3 giugno scorso, Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia, lanciava via Twitter Spero che si decida, mettendo da parte assurde divisioni, che è necessario fare il Pride nazionale sempre a Roma,…” rimandando poi alla sua pagina Facebook. I commenti alla proposta, quelli di poche righe scritti dalle superficiali regine che hanno portato allo sfascio le lotte per i diritti LGTB in questo paese, la dicono lunga sull’assurdo “Signorinismo” che gestisce le politiche associazionistiche LGTB in Italia.

Dal canto nostro, non potevamo non rivolgere alcune domande a Mancuso, per chiarire il senso della sua proposta. Le trovate di seguito:

Lei propone un unico Gay Pride Nazionale a Roma, con il protagonismo delle Signorine Associazioni Locali, come la mettiamo?

Infatti il problema principale sono le associazioni che da anni litigano a Roma senza voler mai concludere nulla. Se il movimento diventa soggetto conservatore o peggio dilaniato da mille ripicche personalistiche o di posizionamento allora forse sta producendo un danno a tutta la comunità lgbt italiana.

La sua proposta tende a ridimensonare i Gay Pride locali?

Assolutamente no, anzi, penso che si dovrebbe favorire questo continuo fiorire di Pride locali, alcuni in grandi città, mettendoli a sistema, costruendo un filo logico politico e organizzativo.

Da tempo, vedendo anche la situazione spagnola, da dove veniamo, che raduna a Madrid circa 2 milioni di persone ogni anno, senza perdere di vista l’identità locale, auspicavamo qualcosa di simile in Italia, ritenendolo più utile. Numeri simili sarebbero possibili in Italia?

Sarebbero possibili se il Pride nazionale fosse stabilmente tenuto a Roma, programmato per molti anni, così da porter costruire intorno ad esso accordi commerciali, strutture organizzative, rapporti istituzionali e sociali utili a coinvolgere tutto il Paese.

Cosa scatenerà la sua proposta?

Spero un po’ di riflessione, tralasciando le vecchie polemiche. Anni fa ero d’accordo pure io che il Pride nazionale dovesse essere itinerante, perché doveva servire da stimolo in alcune aree del Paese, affinché emergesse una comunità lgbt, per cambiare anche l’arretratezza di alcune zone italiane. Oggi siamo in presenza di una volontà autonoma di molte città di organizzare annualmente il proprio Pride, questo significa che ora c’è  bisogno di qualificare queste manifestazioni, aiutandole a crescere e ampliandone la loro presenza di in tante altre città.

Come immagina l’organizzazione di un Gay Pride Nazionale annuale a Roma?

Sono alcuni anni che inutilmente si discute sulla necessità di avere un comitato organizzatore degno di questo nome, non un comitatino della associazione di turno che strappa l’organizzazione del Pride, di solito per sfinimento del proprio “avversario”. La proposta è semplice dal punto di vista teorico, ma assolutamente non gradita dai vari potentati locali sparsi per il Paese. Sarebbero necessari due comitati nazionali: il primo organizzativo economico, che si occupi di rendere il Pride italiano un brand riconoscibile, stabile, che possa accedere a finanziamenti pubblici e privati, che possa stringere accordi commerciali e sociali tali da trasformare l’attuale modello Pride italiano, un ibrido tra la manifestazione classica di sinistra e i rave street, in quelli che si tengono in tutto il mondo. Il secondo comitato dovrebbe essere di coordinamento politico nazionale, cercando appunto di costruire un percorso comune tra tutti i Pride, rispettando l’autonomia delle  organizzazioni locali.

Quali benefici vede all’orizzonte, se la proposta, come Le auguriamo, dovesse andare in porto?

Non sono fiducioso che possa essere accolta, perché troppo di buon senso e stridente rispetto alle volontà separatiste di ogni realtà locale. Purtroppo in Italia persiste un reginismo cronico che da Torino a Milano, da Bologna a Roma, da Napoli a Palermo, per stare nel sintetico, vince sempre. Tutte e tutti sono in fondo contenti che si mantenga uno status quo di realtà autocefale, un drammatico provincialismo composto da teorie simil antagoniste foraggiate con attività commerciali altamente capitaliste. Una doppia morale che ha ciclicamente ucciso, negli ultimi quarant’anni, tutti i tentativi di coordinamenti nazionali, strutture federali, fino all’attuale indebolimento di Arcigay. E questo Equality Italia Logonaturalmente ha dei risvolti politici e ha influenzato negativamente qualsiasi concreto tentativo di ottenere diritti. Se invece per uno strano caso, si dovesse pervenire a una soluzione condivisa, allora i benefici si vedrebbero immediatamente, perché a un occhio attento e smaliziato, negli ultimi anni i Pride sono sempre più uguali a se stessi e a tratti affaticati, probabilmente perché si avverte la necessità di un cambiamento, di cui le associazioni dovrebbero assumersi la responsabilità di promuovere.

 

©gaiaitalia.com 2013 tutti i diritti riservati

 

 

 

 

 

 

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