di Giancarlo Grassi
Mi ha molto colpito l’appello del nuovo papa: “No alla guerra delle parole, disarmiamo le parole e disarmeremo la terra”, prontamente tradotto ad uso lettori da fondatori di quotidiani illeggibili ai più da poche migliaia di copie; tradotte ad uso personale da commentatori in cerca di plauso “Si riferisce a Trump”; commentate da stazioni radiofoniche di grande prestigio e qualità come Radio 24 proprio mentre stiamo scrivendo queste righe.
L’appello del Papa si avvicina, per intenzione e per intensità, alle parole dello scomparso filosofo buddista, presidente della Soka Gakkai e costruttore di pace Daisaku Ikeda che in una delle sue quaranta proposte di pace inviate per quattro decenni all’ONU, chiedendo a gran voce l’istituzione in ogni paese e dentro ogni governo di un ministero per la Pace, che nella Proposta di Pace 2004 scrisse della guerra che “non è solo quella fatta con le armi” sottolineando come le nostre parole debbano “essere basate sullo spirito di autocontrollo, sulla volontà di imparare dall’esempio altrui e regolare di conseguenza il nostro comportamento. Esse devono incarnare quel potere morbido che può persuadere“.
Non a votare per un partito, non a convincere lettrici e lettori che già comprano il nostro quotidiano da poche migliaia di copie, non a incolpare Trump o chissà chi altro, secondo coloro che la Pace la vogliono e la perseguono sul serio cambiare le modalità di comunicazione, disarmando le parole, per rivolgersi agli altri cercando un dialogo profondo, sincero e soprattutto vero cercando i punti d’incontro, è la sola via praticabile. Perché la pace non la si fa con coloro che già abbiamo dalla nostra parte, fin quando stanno dalla nostra parte, la pace si fa con i nemici attraverso conoscenza, fiducia, capacità, intuizione, una profonda capacità empatica, una reale compassione e comprensione dei problemi che affliggono il mondo; attraverso, infine, un profondo e reale desiderio di vivere in una società pacifica per tutte e per tutti dove le differenze siano un arricchimento per tutti e non un stigma sul quale costruire odio e discriminazione.
E’ certamente più facile tradurre le parole di un pontefice, o di un filoso, a proprio uso e consumo piegandole al proprio interesse: una forma di manipolazione della realtà che sta alla base di ogni conflitto. Perché alla fine, ciò che ha detto Leone XIV, non è niente di più di ciò che ha detto: “No alla guerra delle parole, disarmiamo le parole e disarmeremo la terra”.
(13 maggio 2025)
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