di Vittorio Lussana
Innanzi a personaggi come Donald Trump, che si lodano e si sbrodano da soli nel festeggiare i primi 100 giorni di disastri nella più delirante autoreferenzialità, nulla può la critica: nemmeno la mia.
Dovrebbe intervenire, invece, la Polizia. Senza attendere che egli espella un minore malato di cancro in quanto figlio di immigrati, per poter procedere al suo arresto: bisogna solo accertarsi della sua identità e metterlo in galera, perché oltraggia il buon gusto, nuoce all’igiene pubblica, deturpa il paesaggio.
Come presidente degli Stati Uniti d’America, egli è politicamente osceno. Ma osceno, in teatro, vuol dire “fuori dalla scena”, cioè visibilmente invisibile a sé: l’annullamento del soggetto nell’oggetto; lo squartamento del linguaggio; la disarticolazione del discorso; la demolizione di ogni brandello, seppur minimo, di verità. In una parola: ci si vergogna per lui, anche se non te ne frega niente della sua persona, perché non ti è nemmeno parente.
Egli è il vero creatore del depensiero populista, che è l’esatto opposto del pensare: è il non vedersi, il non riconoscersi, il non provare un minimo di senso dell’orrore di fronte a se stessi. Il depensiero populista conduce solamente alla non scelta tra infiniti doppi: non appartiene categoricamente a nessun metodo colto di sperimentazione e conoscenza, ma alla tipica indolenza dell’ignorante.
Qui subentra, ovviamente, il discorso dell’interferenza del potere sul linguaggio e del linguaggio del potere, a cui il popolo viene assoggettato. Così come non si nasce per propria volontà, similmente si è succubi del linguaggio del potere, che dispone di noi e di cui non disponiamo attivamente. Perché contrariamente alla grammatica della lingua, nel linguaggio del potere il soggetto è colui che lo subisce o che ne viene assoggettato, diventando oggetto.
Il linguaggio del potere, così istituito e sedimentato, diviene un coacervo tirannico di luoghi comuni, una costante minaccia, implicita ed esplicita, che andrebbe debellata a tutti i costi dalle nostre vite. Ma tutto ciò rende pienamente l’idea di come il depensiero populista sia esso stesso l’arroganza del potere istituzionalizzato, perché non sono le singole parole a colpirti, ma il linguaggio in sé, che ci trapassa senza che noi ce ne accorgiamo.
Il depensiero populista di Donald Trump è la spazzatura che mettiamo fuori dalla porta alla sera. Noi dovremmo tenerci lontani da tale disumanità, che ci frana addosso come una montagna di nulla: il nulla della politica mediatica, dell’ignoranza giunta al potere sottoforma di opposizione.
E che, purtroppo, non è più minoritaria.
(1 maggio 2025)
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