di Samuele Vegna
“Di’, dunque, sventola ancora quella bandiera adorna di stelle
Sulla terra dei liberi e la patria dei coraggiosi?”.
Questo è uno dei passaggi fondamentali dell’inno statunitense che oggi a me risuona nelle orecchie in modo del tutto incoerente rispetto al momento storico che stiamo vivendo. È infatti di pochi giorni fa quello che sembra un odioso, e noioso, slogan commerciale, ma che invece rappresenta una forma di realtà che noi reputavamo soltanto distopica: Trump ha minacciato studentesse e studenti USA “Se partecipate a proteste nei campus sarete incarcerati e espulsi”.
Contestualizzando, non si tratta soltanto di deportare immigrati illegali, come già sta accadendo nonostante abbiano necessità di cura come nel caso di Xiltali Tejeda, alla quale è stata strappata l’intera famiglia nonostante sia affetta da cancro alle ossa, o anche chi ha oramai radici oramai nel territorio e contribuisce al benessere comune: siamo alla repressione del dissenso. La repressione del dissenso definisce le proteste “illegali” nelle scuole e nelle università quelle contro il nazifascismo, contro il suprematismo bianco, femministe e LGBTQ+, a supporto della Palestina e dell’Ucraina: per studentesse e studenti è previsto l’ arresto e la detenzione se partecipano; per gli istituti che le “consentono” un taglio dei fondi federali.
Il libero dissenso, la libera espressione del pensiero, sono vietati, per rendere omogenea la società, seguendo il metodo del fascismo trasversale che anche da noi ha colpito forte con le leggi dei vari decreti sicurezza, fino ad arrivare al DDL sicurezza, che alza di qualche grado la temperatura della pentola della rana che bolle ma non se ne accorge finché è cotta a puntino.
Come spiega bene Roberto Saviano, pure l’OSCE ha bocciato il DDL sicurezza, sostenendo che mette nella posizione di fuorilegge chi critica il governo Meloni. Simili leggi liberticide sono presenti in Russia, in Ungheria, e in tutti i paesi che hanno i leader politici foraggiati dalla Russia di Putin; leggi nate da meccanismi democratici garantiti da Costituzioni, che però pian piano hanno subito metamorfosi obbligate che li hanno convertiti in servi di un sistema il più omogeneo possibile, piatto. Fascista, per dirla bene.
Putin sta vincendo, pare, e non saranno ottocento miliardi di armi a fermarlo se non si salvano le vere libertà democratiche occidentali; serve un risveglio di coscienza collettiva. Non è soltanto a rischio l’integrità territoriale ucraina, o europea, ma anche quella dei diritti e delle libertà.
La libera espressione non è mai stata minacciata come oggi, negli ultimi cent’anni. E per difenderla rischiamo l’arresto e la detenzione dentro una pagina di Storia che sarà chiamata “l’avvento delle democrature, cento anni dopo”.
Suoniamo l’allarme.
(5 marzo 2025)
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