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HomeIo la penso cosìLo stucchevole chiacchiericcio ai danni dei lavoratori

Lo stucchevole chiacchiericcio ai danni dei lavoratori

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di Marco Biondi

Ma quanto si è parlato di salario minimo? Come i tanti argomenti estivi – e non – buttati nella piazza della politica, non è passato giorno, prima della sospensione agostana dei chiacchiericci – che i tizi e i cai che campano pasciutamente grazie alle retribuzione da parlamentari che il popolo gli riconosce, non ci dessero il loro parere. Non possiamo vivere senza che sia stata fissata, per legge, una soglia minima al di sotto della quale i lavoratori non possono essere retribuiti. Per carità, lodevole pensiero, ma, a mio avviso molto, troppo parziale.

Appena passata la buriana di giugno e luglio, ecco uscire dal cilindro dell’esimio “capo sindacalista” Landini, la proposta di un referendum per abolire il Jobs Act. Desiderio, subito fatto suo dall’altrettanto esimia segretaria del PD, che, come spesso succede, solo poche ore dopo ha dichiarato che, beh, forse sono stata fraintesa e non volevo dire quello. Qualcuno le ha fatto notare che il suo partito l’aveva votato in modo compatto a suo tempo. Rimangiarsi tutto sembrerebbe proprio brutto. Ma io che sono un burbero rompiscatole, anzianotto ma anche per quello con una certa esperienza maturata alle spalle, anche in questo caso voglio dire la mia. E la voglio dire, sparigliando le carte sul tavolo.

E’ essenziale, dal mio punto di vista, partire da molto più indietro. La domanda che mi sono fatto e che invito voi tutti a farvi è: come mai sono nate delle forme contrattuali che consentono di sottopagare i lavoratori? Chi le ha inventate e perché? E chi le ha consentite e perché? Se riusciamo a rispondere a queste domande, magari troviamo il bandolo della matassa.

Siamo verso la fine degli anni novanta e imprenditori italiani e stranieri continuano, ormai da anni, a martoriarsi al pensiero che se assumono un lavoratore, restano condannati all’ergastolo e lo debbono pagare fino a che va in pensione, o si licenzia o muore. Era, in altre parole, “il posto fisso”. Tempo prima era nato il “contratto a tempo determinato”, ma, anche li non bastava. Limiti imposti dai sindacati sui rinnovi, su quando ci si poteva ricorrere e così via. Non fu una soluzione. E lì, dagli a limitare il più possibile le assunzioni, e, da parte degli stranieri, a scegliere di investire in altre nazioni dove esistevano contratti più flessibili e adeguati alle necessità.

In questo scenario, i datori di lavoro hanno deciso di fare da sé. E sono nati i CO.CO.CO, i contratti a progetto, i voucher e, attenzione attenzione, si è rispolverato il vecchio “cottimo”, ossia ti pago per quello che fai. Soluzione andata fortunatamente in cantina dopo le lotte dei lavorati del secolo scorso e che si è consentito di riproporre. Vi risparmio le innumerevoli evoluzioni normative, tra contributi adeguati, lacci e lacciuoli introdotti e poi rimossi. Di tutto si è fatto, salvo che incrementare, in modo adeguato, il sistema dei controlli.

Oggi voglio fare una proposta rivoluzionaria: perché non si torna al lavoro subordinato?

Invece di fare referendum sull’abolizione del “Jobs Act” per tornare alle vecchie ingessature, consolidiamolo. Facciamo che diventi obbligatorio per tutti i contratti. Se il datore di lavoro non è soddisfatto, e non ci chiediamo nemmeno perché non lo è, paga un indennizzo, proporzionale al tempo che il lavoratore è stato alle sue dipendenze, e il contratto si risolve. Semplice ed efficace. Il datore di lavoro sa che non deve fare scelte che durano una vita, ma che può anche cambiare idea, come avviene in quasi tutti i paesi vicini di casa e non solo.

Lo Stato attivi, finalmente, degli strumenti che consentano il re-inserimento di chi perde il lavoro. Ma non facendo finta come successo con i “navigators”, ma incrociando realmente esigenze di ricerca e offerta di lavoro, su scala nazionale. In un sistema di offerta e ricerca del lavoro efficiente, anche l’uso dei famosi “ammortizzatori sociali” potrebbe risultare limitato. Finché non si trova un altro posto di lavoro, lo Stato ti supporta, ti fa fare dei corsi di formazione (sul serio!), e ti paga dignitosamente. La disastrosa esperienza vissuta con il “reddito di cittadinanza” quanto meno ha confermato che le risorse finanziarie per supportare realmente azioni di re-inserimento lavorativo, si trovano.

Resta un aspetto, che riguarda il lavoratore. Molti scelgono altre forme contrattuali perché necessitano di libertà che il lavoro subordinato non può garantire. Se vuole scegliere quando lavorare e dove, il lavoratore dovrebbe poter proporre al datore di lavoro una forma contrattuale diversa, a patto che non vada a ledere i diritti principali. Diritto ai riposi, diritto ad essere retribuito durante le malattie, diritto a non eccedere le ore di lavoro previste contrattualmente. Insomma, se va bene anche all’azienda e il lavoratore lo desidera, può scegliere di lavorare quando le proprie esigenze personali lo consentono. Salario? Commisurato a quello dei colleghi subordinati, ovviamente.

Ecco che, miracolosamente, spariscono le forme di lavoro sottopagato, perché restano semplicemente i contratti nazionali di lavoro approvati dalle parti sociali. E le partite IVA? Restano, ovviamente, ma solo per i professionisti. Costringere i lavoratori ad aprire partita IVA per eludere il costo dei contributi è ancora una prassi consolidata. Deve finire. E il cottimo? Quello deve sparire. Io la penso così. Ma i contratti devono poter prevedere forme di incentivo e disincentivo legati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Ma se io passo le mie giornate sulla bicicletta per consegnare a domicilio i tuoi panini e resto a tua disposizione per farlo, mi fai il piacere di pagarmi anche se non mi arrivano ordini. Se poi sono bravo, veloce e gentile, puoi pagarmi di più.

Cosa manca per poter realizzare questo progetto? Io credo che manchi un sindacato vero, che sia concentrato sul fare gli interessi dei lavoratori e non solo comizi prodromici ad un futuro ingresso in politica e alla raccolta di tessere. Un sindacato che abbia voglia anche di sperimentare e non cerchi, costantemente, di tornare indietro negli anni. Il mondo del lavoro si evolve, le esigenze cambiano e insistere per tornare alle regole degli anni ottanta è ridicolo, oltre che dannoso.

Pensate semplicemente ad un mondo del lavoro senza diseguaglianze, senza lavoratori di serie A o B o C, senza speculazioni su contributi non pagati, su ore pagate in nero, con lavoratori che se vogliono essere pagati devono lavorare anche se sono malati. Sarebbe ora di dire basta. E questo rappresenterebbe un importante apertura verso il futuro, ripristinando diritti violati e dimenticati che ci hanno regalato le lotte del passato. Io quattro conti li farei, piuttosto che fare inutili referendum. Vuoi vedere che si scopre che saltano fuori dei fondi per ridurre il cuneo fiscale?

 

(15 settembre 2023)

©gaiaitalia.com 2023 – diritti riservati, riproduzione vietata

 




 

 

 

 

 

 

 



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