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HomeGeopoliticaLe fonti ideologiche di Putin; tra “denazificazione” e le cosiddette provocazioni occidentali

Le fonti ideologiche di Putin; tra “denazificazione” e le cosiddette provocazioni occidentali

di Vanni Sgaravatti

Come riportato anche in altri articoli precedenti, Putin si riallaccia alla grande idea imperiale russa di metà dell’800 e, in linea con quell’ideologia, è profondamente antioccidentale. In questo senso ammira Stalin che ha difeso la grande Russia, fortemente critico nei confronti di Lenin, per l’autonomia che ha concesso alle repubbliche. Profondamente anticomunista. Ammiratore dell’uomo forte e della violenza e del terrore come arma di repressione e di ordine. Il suo impero non è plurietnico, ma, come quello cinese (dinastia Han), è analogo a quelli razzisti nel senso che l’etnia russa è quella di riferimento e superiore alle altre.

Un primo ideologo di riferimento per il putinismo è Zirinosky che considerava l’Ucraina un non-stato da cancellare. Origini parzialmente ebraiche, promosse e anticipò la crociata maschilista, tradizionalista e spiritualista, temi chiave del putinismo, in stretta sintonia con il patriarca Kirill e sulla base della quale ordinò le repressioni del 2012. Un secondo è Gumilev, propugnatore delle tesi euroasiatiche nazionaliste elaborò in modo stravagante le tesi del biologo Timofeev-Ressovsky che attribuivano a delle misteriose energie biologiche la supremazia di etnie (in primis quella russa) in base ad una specie di “passionarnost” che queste avrebbero posseduto. Le tesi che parlavano di super etnie sono state così apprezzate che in kazakistan un’università è stata a lui intitolata. Un terzo è Dugin, uno dei più volgari e aggressivi, che ebbe riconoscimenti e seguaci in Italia di estrema destra, uno dei teorici della riesumazione del nazional bolscevismo, che nacque in Germania nella Prima guerra mondiale, che sosteneva il progetto di unire Giappone, Iran, Germania contro Stati Uniti e Inghilterra. Alexsandr Panarin convertito al nazionalismo euroasiatico che considerava la Russia, magari arretrata economicamente, ma spiritualmente molto superiore ad un Occidente decadente, ipertecnologico, colpevole di aver sostenuto l’élite russa riformatrice e di portare l’umanità alla distruzione.

Putin rafforzò sempre di più il suo nazionalismo e, come in Europa ed in Italia, associò la nazionalità alla lingua, non capendo che, in particolare, in paesi ex sovietici e soprattutto in Ucraina la parlata del russo era una eredità delle repressioni e assoggettamenti in epoca sovietica, che alcuni pure rimpiangevano, ma senza identificarlo con un rimpianto verso la Russia. Da questa identificazione tra lingua e nazionalità russa si passò a considerare i russofoni che non aderivano all’idea della Russia imperiale, come dei traditori da raddrizzare. L’Ucraina, quindi, in sintesi, era una non-nazione, un popolo inesistente in quanto Stato, un confine amministrativo parte della piccola Russia, la cui identità nazionale era il frutto di una propaganda di un corrotto capitalismo che vuole imporre la propria egemonia, nemico da sempre degli euroasiatici e della dominante etnia russa, con la collusione di filonazisti e traditori da raddrizzare.

Su queste basi sembra difficile negoziare con Putin, così come era difficile negoziare con Hitler, non tanto perché responsabile delle mostruose atrocità che conosciamo, ma perché perfettamente convinto che lui e la Germania erano la stessa cosa, uno non esisteva senza l’altro, e che lui stesso incarnava una visione di ripulitura di un mondo corrotto, grazie al ruolo che la storia dava ai superuomini (“Got mit uns”). E tutto questo era scritto nel suo famoso: “Mein kampf”, senza spazio alle mediazioni.

È un paragone forzato? In che cosa? Non sto comparando gli effetti. Ci sono per fortuna condizioni che impediscono al momento che le due visioni siano simili anche per gli orrori prodotti. Ma i fondamenti ideologici di queste visioni non mi sembrano così diversi. E, soprattutto, non sembrano diverse dall’ideologia stalinista. Quanta responsabilità e quanti incubi hanno provato i reduci di quel periodo: potevamo fare di più per la pace o forse potevamo svegliarci prima, senza guardare da un’altra parte e far finta di non vedere? Anche questo era un angosciante senso di colpa che pesava come un macigno nelle notti dei sopravvissuti, tedeschi, o di quegli ebrei del ghetto di Varsavia che non avevano voluto reagire prima.

Ricordando quelle storie non appare così strano che gli Ucraini non vogliano più rischiare di subire un genocidio, con quell’eredità tragica da cui in Ucraina partì tutto. Quell’holodomor, in cui i bambini venivano lasciati morire di fame con urla disumane, chiusi dentro alle loro case, circondati da muri, senza poter uscire, commerciare, coltivare una spiga di grano, seppelliti moribondi insieme ai vivi. È un “basta”, prima che ciò succeda di nuovo. E noi questa volta non ci possiamo guardare dall’altra parte. E in Ucraina quei terribili eventi non sono storia passata, ma ricordi ancora vivi delle storie che hanno raccontato loro i nonni, mentre ora si trovano di nuovo di fronte a persone, i Russi, che non hanno fatto i conti con il loro passato. Forse anche per questo, non tutti i miei amici ucraini, quelli che stanno sotto le bombe, si fidano del tutto di Zelensky, ma non perché pensano che li conduca alla guerra, per il business della guerra, come si crede da queste parti, ma perché hanno paura che si volti dall’altra parte anche lui e che, per questioni di business della pace, negozi, svendendo il loro futuro, senza il quale la vita non ha senso di essere vissuta. Se così accadesse, moltissimi non lo seguirebbe e ci toccherebbe quindi assistere alla repressione di coloro che continuerebbero a combattere e che verrebbero chiamati, a quel punto, terroristi. E questi amici ucraini non devono solo guardare lontano nel tempo per avere le ragioni per combattere fino alla fine: sanno cosa è successo in Cecenia, cosa sono stati gli orrori della Cecenia.

Nel suo saggio storico [sic] del luglio del 2021, Putin affermò che solo se l’Ucraina avesse accettato di essere parte della nazione Russa, avrebbe potuto avere qualche riconoscimento di qualche loro specificità, altrimenti potevano essere cancellati. Ancora qualche dubbio sulle sue reali intenzioni. Forse stava scherzando?

Il Patriarca Kirill, che ha collaborato con i Servizi segreti sovietici, ha ereditato una rinascita della Chiesa Ortodossa che Stalin permise di rinascere proprio in Ucraina su concessione di Bartolomeo I, per il ruolo di russificazione che le Parrocchie avrebbero dovuto svolgere. Mentre in Russia Krusciov continuò a chiudere gli edifici di culto. E a proposito della funzione di supporto alla colonizzazione ucraina, ci si dimentica le parole che il 6 marzo 2022 il Patriarca Kirill pronunciò nella sua omelia per la giustificazione dell’invasione: “… il mondo capitalista corrotto impone di organizzare un gay pride per dimostrare la lealtà al loro mondo molto potente e permettere di accedere al loro mondo di benessere e non diventare degli estranei. L’ammissione al mondo corrotto occidentale sarebbe, quindi, subordinato ad una sottomissione al peccato e, quindi, ad una violazione della legge di Dio”.

Ma si deve anche notare la grande flessibilità o, meglio dire, camaleontismo ideologico di Putin. Prima era il panslavismo della grande Russia, e quindi l’eliminazione di pochi elementi nazisti che soggiogavano i fratelli ucraini, poi, quando ci si accorge che l’intera popolazione è corrotta dal germe nazista filooccidentale, allora il riferimento diventa il grande impero della Russia, che ha il compito di assoggettare, in nome della sua superiorità, le nazioni della piccola Russia, annettendo popoli che non possono avere una loro identità nazionale, con il trattamento particolare riservato all’Ucraina che non è un popolo ma una costruzione artificiale. Ed ecco che la denazificazione assume lo stesso significato che avevano la dekulakizzazione, la decosacchizzazione, la depolinizzazione che diede avvio al terribile holomodor. Pare che gli europei, ma soprattutto gli italiani non si siano accorti di nulla, facciano finta di non vedere e di non capire, come l’aver coltivato strumentalmente, da parte dei russi, il risentimento verso l’Occidente è stato un modo per tirare fuori dal vaso uno dei cavalieri dell’Apocalisse, che non sarà facile rimettere dentro.

E questa correzione di rotta ideologica a favore dell’impero russo comincia anche per spiegare la mancata caduta di Kiev e, guarda caso, le voci propagandisti si muovono in quella direzione. Il presidente della commissione difesa della Duma comincia a sostenere che ci sarebbero voluti trenta o quarant’anni per rieducare gli ucraini, la cui follia collettiva era evidenziata dalla volontà di difendere il loro paese.

Margarita Simonyan capo del conglomerato informativo che comprende Sputnik e Ria Novosti dichiara che non era un caso se chiamiamo gli ucraini nazisti, data la loro bestiale determinazione a strappare gli occhi e bambini nome del nazionalismo. Si cominciò allora a parlare di distruggere gli ucraini come gruppo e l’Ucraina come Stato, di eliminare la comunità nazionale esistente per sostituirla con una diversa e più vicina a Mosca.

Come riporta lo stesso Prof. Graziosi, l’esempio più illuminante dell’emersione di un discorso apertamente genocidario è forse costituito da un articolo apparso a inizio aprile su Ria Novosti e dedicato a cosa la Russia avrebbe dovuto fare con l’Ucraina. L’autore, Timofey Sergeitsev vi teorizzava un nuovo tipo di denazificazione dell’ucraina, reso necessario dal fatto che una parte significativa della popolazione, molto probabilmente la sua maggioranza, era stata conquistata e attratta dal regime nazista e dalle sue politiche. In Ucraina, insomma, non si poteva più sostenere che il popolo era buono ed il governo cattivo, perché quel popolo sosteneva e condivideva le politiche antirusse. Dopo la sconfitta e la massima distruzione possibile di chi si opponeva a Mosca con le armi, la denazificazione doveva quindi mirare a colpire la popolazione nazificata cin una rieducazione diretta dalla Russia vincitrice, senza indulgere nel liberalismo. Essa ne doveva quindi assumere il pieno controllo, non concedendo alcuna sovranità a ciò che sarebbe rimasto dell’Ucraina. Per garantire la lustrazione del paese sarebbe stato, inoltre, necessario una lunga fase di processi dall’alto in iniziative purificatrici e dal basso, guidate da Mosca, anche attraverso il ricorso al lavoro forzato per i complici del precedente regime, che non fossero meritevoli di fucilazioni (copia e incolla di altri progetti genocidari).

Per denazificazione dell’Ucraina, non si intendeva combattere il vecchio nazismo, con un Fuhrer e con le persecuzioni razziali. La sua essenza stava nel desiderio di indipendenza e di uno sviluppo europeo, che equivaleva in realtà alla degradazione. La denazificazione Ucraina coincide quindi con una decolonizzazione che il popolo ucraino comprenderà quando si disintossicherà dalla dipendenza dalla cosiddetta scelta europea. La denazificazione intesa come deeuropeizzazione avrebbe coinciso così con una deumanizzazione che in Ucraina avrebbe dovuto assumere forme particolari, visto che l’ucraina è priva di civilizzazione propria e quindi subordinata ad altre civilizzazioni.

E, allora chiedo, in questo contesto, quali furono le famose provocazioni occidentali di cui parlano alcuni italiani, che avrebbero avviato questi propositi genocidari? Ho sostenuto, insieme a tanti altri che il vero motivo del conflitto in corso sta nella pianificata reconquista russa, provocati dalla ricerca di indipendenza dell’Ucraina autonomamente orientata verso un modello democratico, multiculturale e quindi delle spinte evolutive di tipo socioeconomico, che hanno aumentato la distanza con la Russia e avvicinato l’Ucraina all’Europa. Ma se vogliamo seguire il filo delle politiche a colpi di decisioni e trattati anche altre disinformazioni vanno smentite. Ad esempio, il memorandum di Budapest tendeva proprio a rafforzare le buone relazioni tra la Russia e l’Ucraina convincendo quest’ultima a trasferire il suo grande arsenale nucleare alla Russia, in cambio di garanzie occidentali sul rispetto della sua sovranità.

Ma Putin, oltre a sostenere che il memorandum di Budapest non era più valido perché erano cambiati i rapporti di forze (e sono questi che contano), secondo lui, continua a parlare di patti del 90, traditi. Approfondisco e scopro dallo storico Graziosi, che non ci fu alcun patto, ma solo una domanda informale fatta da James Baker e Edwuard Sevardnadze in sede Nato, se la Germania avesse preferito essere unita, ma indipendente e senza controllo americano o invece divisa con il controllo. E quel quesito finì poi nel nulla perché la Germania dell’est non esisteva più. Quindi ci fu anche il trattato di Parigi del maggio 1997, in cui si dichiarava che la Nato e la Russia non erano avversari e che tutti i paesi avevano totale autonomia nel cercare i modi per rafforzare la sicurezza, compreso, quindi, l’esplicita adesione dei paesi dell’Est. È infatti per questo che Putin considera Gorbaciov e Yeltsin traditori della grande Russia, perché sa bene che il cosiddetto allargamento ad est della Nato, indipendentemente dalle integrazioni con i mercati europei, è stato preventivamente condiviso e approvato dalla Russia. Ma il Putinismo aveva provato a giustificare l’invasione anche parlando di improprio e provocatorio appoggio occidentale ad un Ucraina che dal 2014 stava commettendo un genocidio nei confronti di filorussi del Donbass. Lasciando perdere la storia delle emigrazioni e infiltrazioni russe in quei territori che ho già ripreso in altri articoli, si possono verificare le accuse di queste intenzioni genocidarie ucraine.

La Russia aveva diffuso informazioni sui 14.000 morti nella guerra civile dal 2014, come le stesse fonti Onu scrivevano, come una prova dell’aggressività ucraina. Andando a verificare quella fonte si scopre che, togliendo i morti dei soldati russi e ucraini, rimanevano vittime civili (che non si sa da che parte stavano) così distribuite: 2084 nel 2914; 954 nel 2015; 112 nel 2016; 117 nel 2017; 55 nel 2018; 27 nel 2019; 26 nel 2020 e 25 nel 2021. Era poco per sostenere all’Onu che era in atto un genocidio. Ma l’Ucraina non voleva essere accusata di creare le condizioni per un allargamento del conflitto e chiese all’Onu di far sospendere le attività di guerra per investigare. La commissione Onu con 13 giudici su 15 votò a favore. I due giudici contrari di quali nazionalità erano? Russo e Cinese. E comunque i Russi non cessarono le ostilità. In ogni caso, è stato uno strano piano provocatorio se i soldati della Nato in Europa sono passati dai 315 mila al momento del trattato di Parigi ai 68 mila del 2021, mentre con gli ultimi ammassi dell’esercito pre-invasione la Russia ha portato ai confini più di 300 mila uomini.

Alla fine, l’ossessione dell’America per la Cina che permise di avvicinare la Cina alla Russia, la decadenza degli eserciti occidentali, evidenziati dal ritiro dalla Siria e soprattutto dall’Afghanistan e la debolezza dei decadenti omosessuali europei che si facevano comprare per qualsiasi cosa, convinse Putin ed i suoi che il momento pianificato da decenni era arrivato. Era il momento dell’invasione.

Queste narrazioni propagandistiche sono state ben orchestrate inizialmente da Putin e compagni, ma, ora quelle stesse narrazioni sono diventate prigioni cognitive, che hanno vita propria e guidano gli stessi oligarchi che le hanno alimentate e che rendono difficile trovare un dialogo su basi comuni. Un negoziato tra “orchi” e “nazisti che accecano gli occhi ai bambini non nazionalisti” appare impossibile. Da questo punto di vista, la missione di pace del Vaticano può contribuire nel modificare quelle “parole”, nel permettere quel riconoscimento di umanità che sta anche in un “orco”. Ma come lo stesso Cardinale Parolin dice, la chiusura del negoziato dipende da fattori che esulano dalla missione e temo che non siano fattori controllabili solo dagli Stati, dopo tanti orrori subiti dalle persone, che hanno risvegliato tanti incubi, che si pensava sepolti nella memoria più profonda.

 

 

(29 maggio 2023)

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