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Il potere delle narrazioni tra guerra e pace

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di Vanni Sgaravatti

Mi è capitato di sentire un dibattito televisivo con l’interessante partecipazione di uno dei tanti interessanti partecipanti. Siccome lui non citava le fonti alle quale attingeva io non citerò lui. Mi aspettavo fosse un “pacifista (del tipo: “facciamo in modo di indurre gli Ucraini a cedere alle richieste russe”) e allora il mio istinto sarebbe stato quello di voltarmi dall’altra parte perché dopo tanto dibattito non ha grande utilità continuare con chi percepisci come schierato da una parte e non con un conflitto in corso.

Però mi sembrava un interlocutore diverso dal solito, parlava bene e allora sono rimasto ad ascoltare. In che senso parlava bene? Non parlava attraverso slogan, diceva che il suo parere, diverso da quello dominante in occidente, era fondato su delle fonti precise e non russe. Allora ho cercato di ascoltarlo e utilizzo le impressioni che ne ho tratto non per una polemica con una persona che non ho il piacere di conoscere, ma per esporle più facilmente. Parla di una sua opinione basata su fonti e documenti. Ma non le cita, dicendo che non c’è tempo per farlo. Quindi l’impressione che vuol dare è quella di uno che conosce segreti che altri non conoscono. E, in fondo dovremmo crederci per fiducia. A dire il vero cita due nomi di professori americani che fanno diagnosi differenti. Vado a verificare e scopro che quella sparuta minoranza di professori non riportano i risultati di particolari ricerche, ma solo loro opinioni.

Potremmo dire che esiste anche sparuta minoranza di professori americani che continuano a sostenere che il cambiamento climatico non esiste, che il neoliberismo fa bene, per non parlare dei terrapiattisti. Ma il punto della questione non è questo.

Il punto è che questi professori sosterrebbero che i motivi della guerra non sono attribuibili al satanico Putin che si è svegliato una mattina con la voglia di attaccare l’Occidente.

Qualcuno ha mai pensato questo? Quando al tempo di Andropov l’agente Putin operava per cambiare sistema così da avere le risorse sufficienti per finanziare corruzione e instabilità dell’Occidente e quando pianificava il ritorno dell’Unione Sovietica era infatti molto tempo fa. Ha lavorato per questo per 30 anni, non da una sera alla mattina.

Ma il buon interessante partecipante sembrava voler parlare delle colpe dell’Occidente. Certo, dal tempo della guerra dell’oppio e, ovviamente, anche da molto prima, l’Occidente ha cercato di colonizzare il mondo; tendenzialmente non vuole perdere l’egemonia e il ruolo geopolitico e alcuni dirigenti sono ben consapevoli che non difendere posizioni egemoniche può comportare la fine di tale egemonia. E in più se il Kgb ha corrotto banche e politici occidentali, ha commerciato in droga, ha finanziato movimenti terroristici, questo significa che c’erano banche e politici corrotti, trafficanti occidentali di droga e sfruttamenti di imprese occidentali in giro per il mondo.

Ma tutto questo cosa c’entra? Quanti sono quelli che pensano che la guerra sia necessaria per punire il cattivo Putin dai buoni occidentali? Se anche noi fossimo l’impero del male come sostiene il supremo Ayatollah iraniano, dovremo per il nostro storico senso di colpa, non permettere agli Ucraini di cercare di rimandare a casa propria i Russi, quando questo, tra l’altro, coincide con la difesa di un modello sociale ed economico in cui la maggioranza degli occidentali si riconosce?

Come ho già detto più volte, l’unica questione in sospeso nel dibattito guerra e pace è se la maggioranza del popolo ucraino volesse cedere alle pretese russe pur di far finire la guerra. Ma questo viene impedito da uno sparuto gruppo di dirigenti ucraini (definiti neonazisti). Quello che, invece, si sostiene è che quel gruppo di dirigenti è in quel posto proprio perché, per la prima volta, risponde alle esigenze della maggioranza della popolazione di liberarsi dalla schiavitù di un popolo russo, invece di farsi corrompere con le mazzette del petrolio russo.

La dirigenza politica russa non utilizza certo russi provenienti dall’intellighenzia delle 15 principali città russe, ma contadini delle campagne, senza alcuna cultura e che vivono in situazioni da terzo mondo (così come nella guerra in Vietnam morivano molti più soldati afroamericani). Persone che, come mi ha raccontato Svetlana, quando sono arrivati in Ucraina hanno trovato nelle case il bimby per cucinare e hanno torturato le persone perché pensavano fosse una macchina per far soldi. Ma se proprio i pacifisti come l’interessante partecipante non vogliono credere a questo, spingano per proporre a Putin un referendum sotto l’egida dell’Onu. Putin ha detto mille volte niet. Se poi qualcuno di loro pensa che l’Onu sia ormai schiavo dell’Occidente allora non esiste più organo mediatore e ci toccherà tornare al periodo precedente alla Seconda guerra mondiale.

Ma quel dibattito continua e l’interessante partecipante parla anche di questo equiparare Putin a Hitler così tanto per fare e senza senso. Quando lo stesso Hitler, dice, in fondo è stato quello che è stato perché coccolato dall’Occidente. E che quindi, anche nel caso dello sterminio di massa degli ebrei e della guerra, sono gli occidentali i veri colpevoli. Ma proprio questa sua considerazione, mi permette di chiarire la mia: avremmo dovuto quindi tenerci Hitler perché siamo stati noi a creare il mostro? E, così ora, dovremmo indurre gli Ucraini a cedere perché siamo stati noi a portare Putin ad invadere il territorio (visto che la corruzione non bastava più nella guerra con l’Occidente).

In effetti, il citato protagonista del talk show ripropone in pieno quel confronto. Con la differenza che lo utilizza proprio per dire che sia Hitler che Putin sono figli di un approccio ideologico-culturale “occidentale”.

Certo se si ascoltano le storie dei marrani che torturavano e bruciavano donne di 70 anni (una storia spagnola), perché rifiutandosi di mangiare carne di maiale dimostravano una tendenza al ritorno all’ebraismo, possiamo dire che non solo l’Occidente avrebbe coccolato Hitler, ma che lui stesso è il frutto di una secolare cultura antiebraica.

Ma, ripeto: questo cosa c’entra con l’auspicio che tutti tornino nelle proprie case, russi e ucraini, anche se molti di questi ultimi non troveranno la casa ancora intera, indipendentemente dal fatto che non sia stato un diavolo sadico ad invadere le case ucraine? E continuo ad utilizzare queste parole in risposta all’incitamento del buon Moni: “basta parlare di case invase”.

Voglio tenere a bada le mie reazioni istintive e riconoscere in questo paragone del pacifista interessante protagonista un condiviso culturale disvelamento del potere delle narrazioni, in senso generale. Sono assolutamente d’accordo, sto proprio studiando l’effetto positivo e distruttivo delle storie da quando è nato l’homo sapiens. Il problema è che utilizza come esempio di strumentalizzazione delle storie, quella di “Putin e Hitler i diavoli in terra”, raccontandoci proprio un’altra storia.

Quando, sempre da un punto di vista culturale, possiamo dire che la storia delle responsabilità diffuse e reciproche, storiche e geografiche spesso contrasta la storia del buono e cattivo, lo facciamo, come a mio avviso in questo caso, per un fine altrettanto strumentale? Quindi le storie pari sono? Certo, ma la differenza la fa l’intento dei narratori. E in questo caso chi parlava, si presentava come colui che diceva la verità (come sostengono anche gli altri), smascherando le narrazioni altrui, volendo apparire come colui che le denunciava senza l’utilizzo di alcuna contro-narrazione e, che, per questo, sarebbe neutrale, quindi degno di fiducia e di ascolto?

E, come al solito, da chi si presenta come diverso dagli altri (“Io non racconto favole”), ci si aspetta un po’ di più in tema di diversità.

Gli artisti producono opere, danno forma al loro istinto attraverso opere di grande bellezza, ma non necessariamente sono pensatori sociologi, razionali osservatori delle umane cose, così come il migliore pediatra chirurgo del mondo, non saprebbe certo produrre un’opera teatrale. Ma, in questo mondo dell’apparire tutto va bene, l’importante è che faccia audience e tutto finisce in un enorme spazzatura di meme registrati nelle nostre menti, di cui si perde la traccia, sempre in nome della nostra connaturata pigrizia di evitare faticosi distinguo, e di evitare l’impegnativo pensare sul nostro pensato. E senza far attenzione al bias di competenza: un grande artista e una buona persona non può altro che produrre verità in tutti i campi.

O forse no.

 

 

(15 gennaio 2023)

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