di Vanni Sgaravatti
Più leggo e sento ragionamenti più mi rendo conto di vivere in una società spaccata e divisa. E lo è su temi che, questa volta, richiamano, più o meno inconsapevolmente, principi di fondo. Prima di riportare le amare riflessioni che discendono da questa consapevolezza ritengo opportuno ripercorrere i punti discordanti che ruotano attorno alle posizioni sul conflitto in corso.
Un primo punto è relativo a quanto Putin dichiara: “Siamo stati costretti ad effettuare questa operazione speciale per prevenire minacce alla nostra sicurezza, nonostante avessimo avvisato la Nato e che non ci ha ascoltato”. Molti italiani, in particolare tra quelli che si riconoscono in 5 stelle, Lega e Leu concordano con questa versione. È vero: è da tempo che la Nato sapeva che Putin voleva ridefinire i confini delle sfere di influenza. Non avere accettato la proposta di accordo è, dal punto di vista di Putin, un’evidente provocazione e prova che la Nato ha piani diversi e aggressivi verso la Russia.
Ma chiariamo cosa si intende per accordo sulle sfere di influenza. Ad esempio:
Ucraina, Moldavia, Georgia, Bielorussa sono russe; Azerbaigian, Kazakistan, Uzbekistan sono sotto l’influenza russa. Stati baltici si uniscano agli stati neutrali con armamenti molto ridotti.
Inoltre, si sa che il rispetto delle reciproche zone di influenza, prevede che ogni parte rifiuti qualsiasi trattato di amicizia e di alleanza richiesta da uno stato che faccia parte dell’altra “zona di influenza”. In ogni sfera di influenza, leggi, regolamenti, accordi commerciali sono questioni interne anche della superpotenza di riferimento.
Prima e durante il conflitto gli Occidentali uniti non hanno accettato questo tipo di negoziazione. Ma, quando una parte accusa l’altra di non voler negoziare si nasconde una contraddizione: gli occidentali dichiarano di volere negoziare sul Donbass, Putin, fino a poco tempo fa, intendeva una negoziazione sulle sfere di influenza e che negoziare il Donbass senza parlare di queste non aveva senso. Immaginare che gli occidentali e la Nato, strumento di difesa di potenze colonialiste non possano e non siano in grado accettare l’accordo sulle sfere di influenza è difficile da capire da chi non conosce la Democrazia. Ma, un conto è l’azione di multinazionali private appoggiati da istituzioni “ipocrite”, che hanno generato proteste sociali successive, un altro è farsi parte attiva di un accordo che preveda la spartizione di territori.
Un secondo punto è relativo allo slogan: “è una guerra per procura”.
Il punto centrale su cui questo tipo di dibattito finisce in uno sterile si/no è: gli ucraini sono costretti a combattere? E ancora prima del conflitto: hanno votato liberamente per il governo che ora li rappresenta?
Se sì allora non è una guerra per procura, ma una guerra in cui gli invasi difendono il proprio territorio e la propria libertà dagli invasori. Se no allora è una guerra per procura. Naturalmente per sostenere il “no” bisogna essere convinti che tutte le interviste viste alle televisioni sono artefatte o scelte allo scopo di dimostrare quello che si vuole e che le dichiarazioni degli ucraini che si conoscono direttamente non rappresentano il volere del loro popolo. L’ultima condizione, quella degli ucraini che conosco, è, per me, difficile da immaginare. O almeno è altamente improbabile che tutti gli ucraini che ho sentito costituiscano un campione assolutamente distorto di ucraini. Il fatto poi che gli alleati degli Ucraini intravedano nell’appoggio interessi propri, questo mi sembra banale. L’immoralità dipende dal tipo di obiettivi. In ogni caso credo che la maggioranza dei “pro-ucraina” non pensino che vadano appoggiati gli ucraini perché sono dalla parte dei buoni, gli occidentali.
La guerra dei buoni e dei giusti? Ma questa è solo nella testa dell’altra parte, in particolare di quella destra che vede ancora quelli di sinistra come un manipolo di radical chic (definizione più obsoleta delle scuse che la destra si si inventa per non condannare il Ventennio).
Un terzo punto riguarda il Donbass e la dichiarazione russa che occorre morire per aiutare gli amici del Donbass contro i battaglioni nazisti.
Innanzitutto, evidenzio come anche sulla questione “battaglioni nazisti” si apre un dibattito che finisce in un: si/no. Non resisto a dire la mia. I nazionalsocialisti (Stalin preferiva dire fascisti, perché nazionalsocialisti richiamava una forte radice ideologica sovietica) sono l’1% in Ucraina, probabilmente una percentuale simile a quella presente in molti stati europei.
Organizzando la difesa in battaglioni, questi sono etichettati in modo opposto a come si autodefinisce la controparte con cui combattono fino alla morte. Se sono diretti dal governo ucraino non sono nazisti ed è difficile immaginare una concentrazione di persone cosiddette naziste sia presente in un battaglione ucraino, a meno che questo non sia pianificato dal governo centrale. Ma proseguiamo il ragionamento: gli obiettivi iniziali dichiarati da Putin, come detto, era ridefinire le sfere di influenza, quindi l’interlocutore e poi il “nemico” era l’occidente, la Nato, in primis, gli Americani. Ed era anche per questo che i “pro-ucraina” sostenevano che la difesa dell’Ucraina era la difesa dei nostri interessi.
Poi Putin “ripiega” e si concentra sul Donbass. Perché? Ha cambiato idea, convinto dalla bontà dei ragionamenti che gli hanno fatto? Oppure sono le condizioni di equilibrio sul campo che gli fanno pensare ad un eventuale via d’uscita che, per essere non umiliante, deve prevedere di poter dichiarare obiettivi raggiunti? Se così fosse, le armi di difesa non servirebbero ad obbligare Putin alla ridefinizione dei propri obiettivi? (la questione è ancora in corso, ovviamente)…. Ma, allora, quale accordo per il Donbass?
Penso che anche i nostrani “anti Nato” sarebbero d’accordo sulla giustezza di un compromesso del tipo: ai Russi la Crimea, referendum per l’autonomia del Donbass, ucraina neutrale, con garanzie che non si armi di nuovo e garanzie che la Russia non invada di nuovo.
Ma come si fa a mettere in pratica queste garanzie? Il disarmo dell’Ucraina, rassicura la Russia, ma non l’Ucraina. Non facile la questione al di fuori della retorica. Ma si può discutere. Ma se questo tipo di negoziato è quello su cui la maggior parte di noi concorderebbe e credo avrebbe sempre concordato, perché non è stato provato finora? Perché gli Americani non lo avrebbero voluto? E quindi adesso potrebbero volerlo: perché costretti? Perché i Russi non lo volevano? E quindi adesso potrebbero volerlo perché costretti? (e tendo a credere più interessante le seconde domande che le prime)…
Gli ottimisti di entrambi gli schieramenti di opinioni possono considerare positivo, comunque, un orientamento verso questo negoziato concentrato sul Donbass. Anche se ci sono due piccoli problemi.
Il primo è che lo devono volere gli Ucraini. Per chi pensa all’onnipotente Nato che tutti e tutto manipola (Putin in primis) è difficile immaginare che la Nato non possa imporlo (al di fuori del ricatto: “ti tolgo le armi”, che di fatto significa allearsi con Putin e rompere con l’Ucraina). Non si fa una pace per procura, dicono gli occidentali. Certo chi crede che questa sia una guerra per procura (vedi il punto precedente), non può che pensare che questa sia una scusa. Comunque questo penso sia un punto facilmente superabile, cioè quello del consenso ucraino.
Invece, il secondo punto è più delicato e riguarda le anime belle degli occidentali, che magari allo scopo si trasformeranno in pragmatici. È immaginabile che nel tavolo di un negoziato ci sia la richiesta di fine delle sanzioni e la non perseguibilità dei crimini di guerra. E questo è un osso duro da digerire. Già, perché questa guerra è stata particolarmente crudele, come lo sono tutte le guerre che coinvolgono direttamente i civili, non come effetti collaterali, ma come bersagli o scudi (a seconda di come li vedono le parti) ed in cui l’orrore è parte integrante e voluta delle “armi letali”.
Tutte le guerre contengono orrori, ma è una questione di misura. In Iraq potremmo individuare comportamenti immorali degli Americani? Certo, non c’è dubbio. Ma sono gli stessi, ad esempio, di quelli perpetrati in particolare contro le donne nelle terre occupate dall’Isis? Oppure delle guerre coloniali degli occidentali, o della bomba atomica in Giappone? Le guerre sono tutte uguali, viste dal salotto di casa, cioè da una distanza sufficiente, ma per le vittime non lo sono sempre.
In questa perfetta incomunicabilità tra le diverse interpretazioni del mondo e delle tragedie in corso, mi sento come straniero in patria, anche se ammetto che potrebbero sentirsi così anche “gli altri”. Siamo due minoranze o due maggioranze estranee l’una all’altra.
È una tempesta perfetta per l’incomunicabilità e l’incomprensione interna alla nostra collettività e ne ho fatto esperienza diretta. È una tempesta perfetta, perché, se da una parte in gioco ci sono principi di base, dall’altra i ragionamenti, più o meno articolati, che si pensa costituiscano la prova provata della validità della propria tesi, sono, in realtà di tipo argomentativo, cioè, senza essere fondati su una reale conoscenza della realtà. E, quindi, non possono che essere illusori per definizione. E quando si citano le cosiddette prove documentali si finisce ad uno sterile confronto del tipo si/no: “c’erano battaglioni nazisti” / “non c’erano battaglioni nazisti” oppure “Putin negozierebbe ma …” / “Putin non vuole negoziare”.
Avendo messo in discussione la legittimità di qualsiasi fonte da cui trarre elementi comprovanti la validità di una questione, a maggior ragione se si tratta di fonti derivanti dal cosiddetto “mainstream” non si può che finire nel: sì/no. E così si torna ad affrontare uno dei primi demoni cognitivi dei tempi moderni, quello di Cartesio, ripreso dal film Matrix. Quale è la prova provata che esistiamo e che le nostre sensazioni non siano prodotte e manipolate da un demone che ci tiene imprigionato in un baccello? Non ci si può altro che scontrare con osservazioni del tipo: “e non ve lo dicono” o “In realtà sono tutte messe in scena quello che vedete sulla guerra che sarebbe voluta da Putin”. Quale Guerra? Putin, chi? Esistono davvero?
Tornando dalla grande confusione cognitiva alle questioni tattiche di livello inferiore, diciamo che le nostre spaccature sono proprio quelle che Putin, sempre che esista, ha messo in conto come proprio fattore di forza. Dove esiste una pluralità di opinioni, esiste una pluralità di possibilità di manipolazioni, dove le opinioni danno, attraverso il meccanismo democratico, legittimità ai decisori, la disunione delle opinioni diventa un fattore di debolezza.
Qualcosa di inquietante riappare di nuovo in fondo a questo ragionamento, perché se ne desume che, di fronte ad obiettivi così radicali come la salvezza sociale e ambientale del pianeta, occorre forza, quindi unione di opinioni. E se ne desumerebbe che, di fronte ai tempi stretti che l’accelerazione del degrado sta comportando, l’unico modo sia la forzata manipolazione centrale delle opinioni, attraverso un’unica narrazione senza se e senza ma e senza dibattiti confusi e urlanti. E immagino quali possano essere le giustificazioni morali degli uomini al comando: Putin, Xi Jinping, Hitler, Stalin, che si identificano nel paese e nel pianeta: sono tutti costi per salvarlo o per rendere puro il mondo.
Scegliamo allora la narrazione che più ci piace. Temo che, anche in questa visione da incubo, ci sia meno spazio, reale intendo, per i né di qua, né di là. La pace a tutti i costi, ad esempio, è già stare di qua o di là. Non è neutra, infatti, nel momento in cui mettono i soggetti a questa frase: pace per chi? e costi per chi?
(10 maggio 2022)
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