di Vanni Sgaravatti
Nel momento in cui la competizione per lo sviluppo si era concentrata tra Cina e Usa, in che modo la Russia poteva non essere tagliata fuori dai giochi e rimanere emarginata? Questione cruciale per la Russia se voleva (e vuole) aumentare le “briciole” della torta (dopo la spartizione fortemente disuguale a favore degli oligarchi russi) da destinare ai molti cittadini Russi in difficoltà ed evitare così ribellioni e conflitti era (ed è) l’energia.
La Russia può contare sulle sue risorse energetiche. Quindi ogni problema ai gasdotti o che limitasse il suo potere di benzinaio del mondo è vissuto come un attentato alla propria sicurezza. Noi italiani, per la nostra posizione, siamo da sempre un paese minore e, non capiamo o, meglio non viviamo direttamente, il collegamento che esiste tra non essere tra coloro che decidono e controllano lo sviluppo mondiale e la nostra sicurezza.
Il Donbass è ricco di miniere di carbone e di altre risorse e per noi è importante per contenere la nostra dipendenza dal gas russo. I Russi difendono questo vantaggio strategico e prevengono che queste risorse possano essere un giorno controllate da paesi della Nato, diminuendo così la propria dipendenza dalla Russia.
Quindi, se le sanzioni economiche fanno impoverire tutti e qualcuno di noi magari dirà; “ma uffa, Donbass chi???” dobbiamo pensare che anche rispetto ai nostri interessi (aumento dei prezzi dei trasporti, del riscaldamento, dell’inflazione, dei prezzi dei beni alimentari, delle chiusure di aziende e disoccupazione) il dilemma è tra queste perdite a breve e l’essere (per essere) meno economicamente dipendenti nel futuro.
All’interno di una visione neoliberista tradizionale, la guerra o il conflitto è una logica conseguenza. Magari alimentata dai ducetti di turno, ma è “naturale”. Si dà per scontato, infatti, che nessun governante, soprattutto in governi democratici, avrebbe il consenso se imponesse di pagare quel costo dovuto alla fase di decrescita infelice, in cui si accetta di rivedere le fonti energetiche, si mira ad una più equa redistribuzione delle risorse e di una diminuzione della domanda di beni di consumo (compreso i limiti alla disuguaglianza degli stipendi, l’aumento delle aliquote più alte: un po’ troppo socialista come ricetta, forse). La “decrescita”, secondo i suoi sostenitori, potrebbe portare ad un miglioramento della media dei redditi pro-capite e delle condizioni di vita, nel medio periodo. Ma quand’è questo “medio”? E soprattutto media tra chi e chi (Italia o mondo?). Quelli che stavano sopra la media certo non aumenteranno il loro livello di reddito; anzi il confronto tra il prima e il dopo sarà evidente e la loro distanza tra la situazione reddituale e la media generale diminuirà, favorendo la percezione (da parte di questo target di persone) che si stava meglio quando si stava peggio. Brexit docet.
Quindi bisogna essere sinceri: chi ha il tempo di riflettere e scrivere e contestare il sistema attuale, di norma, sta “sopra la media”, sente l’esigenza di vivere in un mondo più giusto, guardando il suo tempo presente, ma forse non percepisce il costo da pagare per un mondo migliore. Solo l’etica e la morale e non il calcolo economico può far sostenere questo costo.
(22 febbraio 2022)
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