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Matteo Salvini, la resa dei tonti è giunta #Tontimanontroppo

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di Marco Tonti #Tontimanontroppo twitter@rimininewsgaia #Politica

 

Da piccolo, erano proprio gli anni in cui ci fu l’esordio della Lega bossiana, su un muro vicino a casa mia comparve una scritta enorme, tutta maiuscola, fatta con lo spray verde: “LA RESA DEI CONTI È GIUNTA. VOTA LEGA.” Qualche saggio buontempone prontamente corresse la scritta trasformandola in quella del titolo. Chi l’avrebbe detto che, a distanza di anni, quel pronostico, riveduto e corretto, si sarebbe rivelato più letale della maledizione di Tutankhamon?

La traiettoria politica e strategica di Salvini in quest’ultimo anno e mezzo delineano perfettamente la cronaca di una morte annunciata. Diciamolo subito per fugare ogni dubbio, non del Salvini uomo ma del Salvini politico, e non solo di Salvini ma soprattutto del salvinismo leghista.

Molti già dall’inizio dell’ascesa prefiguravano che a questo apice (nei sondaggi) dello stile Salvini sarebbe seguito un tracollo più o meno rapido. E come succede poco importa che Salvini abbia preso il 17% alle politiche del 2018 e che ora i sondaggi diano il suo partito intorno al 24%, con una crescita di 7 punti, ma solo di come è passato dal 36% al 24% nel giro di un anno, regalando consensi alla più strutturata e scaltra Meloni.

Ma ripercorriamo, senza pretesa di esaustività, alcune delle coordinate che descrivono la traiettoria salviniana negli ultimi anni.

Salvini incentra tutto sulla sua persona, sul suo stile popolaresco, alla buona, mangereccio, grossolano, al punto che il suo partito non ha semplicemente il suo nome nel logo, ma si chiama proprio così: Salvini Premier. Quindi, a voler fare una nota linguistica, quando si dice “il suo partito” questa espressione è da intendersi in senso proprio. Salvini incarna nel suo stile la parola d’ordine che gli ha regalato i primi importanti successi: “Ruspa!”.

Come una ruspa, appunto, tira dritto, sbriciola chiunque si trovi sul suo percorso. Persone fragili vengono umiliate, calpestate, sbriciolate e dietro la scia della ruspa il popolo che vuole l’uomo forte, l’uomo solo al comando coi pieni poteri, festeggia.

E così comincia l’avventura di governo coi 5s, emblematica la farsa del contratto di governo che non valeva nemmeno la carta su cui era scritto e serviva solo come alibi per giustificare quello che sarebbe diventato per il 5s un abbraccio mortale. Salvini, mediocre intelletto ma notevole scaltrezza, li fa cuocere a fuoco lento diventando il protagonista di una attività di governo in cui lui era il protagonista e loro quelli che venivano accontentati con costosissime bricioline come il reddito di cittadinanza.

Il gioco del Salvigatto col Topimaio poteva andare avanti a lungo, ma comprensibilmente Salvini si era stancato di fare il comprimario, voleva tutto il palcoscenico per sé. Certo del fatto che il Pd di Zingaretti mai e poi mai avrebbe fatto un’alleanza coi 5s, e ne era certo perché da mesi questo veniva dichiarato, Salvini commette il suo più fatale errore: fa cadere il governo. Ah, indentiamoci: un piccolo errore per lui ma un grande sospiro di sollievo per l’umanità. Come suo dovere il presidente Mattarella cerca una nuova maggioranza e, colpo di scena, la trova e nasce il governo 5s+PD! Salvini era cascato nel trappolone di Zingaretti che diceva “Mai con 5Stelle”. Che smacco, che capitombolo per il Capitano! La rabbia dei tifosi è palpabile.

Da lì è tutta un’infilata di errori, di quegli errori che chi segue la politica sa bene riconoscere e perfino prevedere. La “morte annunciata” di un leader appunto, che avvitandosi su se stesso si consuma e perde la presa sul consenso che si era conquistato. Salvini per cercare di riconquistare il consenso comincia a rilanciare e a correre rischi sempre maggiori. Fa il ganassa cercando di raccogliere le sfide più difficili, cioè espugnare le “regioni rosse”, a partire dall’Emilia-Romagna e intanto regala le regioni più sicure ai suoi concorrenti di coalizione. Non può ovviamente candidarsi e quindi che fa? Candida una diafana, oscura, mediocre Borgonzoni. È talmente tanto oscura che a un certo punto perfino sparisce dai manifesti elettorali; è talmente inetta che perfino il padre dirà di non votarla; è talmente diafana da essere perfetta per far trasparire la sagoma del Capitano dietro di lei. E così Salvini tenta la spallata, che non gli riesce. Cominciano a vedersi le prime crepe nel suo squadrone, perché si sa: se vinci te le fanno passare tutte in cavalleria, invece se perdi malumori e mugugni cominciano a sentirsi. Non è più “Maledetti avete tradito Salvini” ma “Salvini ha fallito”. Sorvoliamo su tutti gli errori di tattica e di strategia fatti in quella campagna, primo fra tutti l’ignorare di quanto fieri e determinati siano i popoli dell’Emilia e della Romagna, giustamente fieri del gioiello (pur imperfetto) che col loro lavoro hanno contribuito a mettere in piedi. Sentire un milanesotto che va a Bologna o a Rimini a dire che hanno sbagliato tutto e che, con fare da “sborone”, dice che lui sistemerà ogni cosa, è davvero una cosa molto indigesta. Per non parlare della citofonata più controproducente della storia.

Ecco, questa non è stata solo una sconfitta di Salvini ma del salvinismo. La sconfitta di quella figura che ti racconta che con le sue semplici soluzioni arriva lui e sistema tutto. Le soluzioni? Chiudere le frontiere, far annegare un po’ di gente, ruspare un po’ di villette di mafiosetti, fantasticare sul ritorno della Lira, inneggiare al sovranismo io-prima-di-voi, fare la pipì in testa alle famiglie LGBTI, permettere di sparare nella schiena ai ladri anche a 20 metri di distanza mentre scappano, riaprire le “case chiuse”, insomma tornare ai tempi di quando si stava bene e c’era un inflazione al 13%, ai tempi di quando si stava meglio quando si stava peggio.

Poi è arrivato il Covid-19, e per Salvini e il salvinismo è stato il colpo più duro. La gente ha scoperto che non era più il caso di baloccarsi con il nostalgismo di quando si faceva il militare obbligatorio e che invece c’erano problemi veri, profondi, devastanti da affrontare e che le ricette di Salvini, ripetute allo stremo, prima erano romanticamente inefficaci-ma-ci-piaceva-credergli, ora invece c’era ben altro di cui preoccuparsi. Un ulteriore colpo di grazia è stato il successo della trattativa del premier Conte in Europa, la modifica dei meccanismi europei e la nascita di un continente politico con nuove prospettive e più attenzione ai territori e alle persone, almeno apparentemente e nelle intenzioni. Fatto sta che l’Europa non è più tanto matrigna e quindi non c’è più motivo di volerne uscire, c’è bisogno di sicurezza e non di perenne conflitto, c’è bisogno di essere rassicurati non di aggiungere problemi inesistenti a quelli già enormi che stiamo affrontando. Ma Salvini, incastrato nel suo ruolo, conosce solo quel copione. Ne trae vantaggio Giorgia Meloni che, più intelligente e più scaltra, e soprattutto meglio consigliata, sta offrendo una immagine di sé da leader responsabile e competente. Che sia stata nominata leader europeo del gruppo europarlamentare dei conservatori è il colpo di grazia per Capitan Capitombolo, collocato ormai su un fronte perdente sul piano internazionale, scavalcato da una Meloni che gli sta risucchiando il suo elettorato come farebbe un vampiro in astinenza, senza più nessuno da incolpare per i suoi fallimenti e i suoi errori, con un Zaia contendente interno sempre più forte (ma assai debole in realtà sul piano nazionale), e così via.

Fino ad arrivare più o meno all’oggi, subito dopo le elezioni regionali. Il “ganassaSalvini annuncia che faranno un 7-0 e invece è un 4-3. Ma la sconfitta più bruciante è il bis in Toscana di quanto avvenuto in Emilia-Romagna con quella Susanna Ceccardi, sicuramente meno diafana e più energica della Borgonzoni, che comunque non gliela fa. E così cade definitivamente l’ultimo pezzo del salvinismo elettorale: la strategia dell’assalto alle regioni rosse per dimostrare che lui poteva farcela è fallito, al suo egocentrismo riparatore nessuno ha creduto (e anzi può intestarsi il discutibile merito di aver fatto eleggere Eugenio Giani, espressione dell’arcinemico Matteo Renzi).

In questo quadro c’è un altro fallimento strategico di colossale grandezza: la Lega, che da Lega Nord aveva tentato il salto nazionale, al sud non ha sfondato. Forse avendo dieci anni di tempo potrebbe anche farcela a ricostruire un’immagine nazionalista e sudista della Lega Nord, ma non solo con questa battuta d’arresto ha dimostrato di non essere l’uomo del tutto-e-subito, ha anche tradito la fiducia di quella parte di Lega che aveva sostenuto riluttantemente il suo progetto di snaturazione nordista per andare alla conquista del sud, isole comprese. Questo progetto, l’ennesimo, è miseramente fallito. La forza della lega è al Nord, come ha dimostrato il successo di Zaia, e di questo il Capitano, tra un errore e un capitombolo, dovrà finalmente rendersi conto.

Ma, visto che di morte (politica) annunciata si tratta, sappiamo che così non sarà. Manterrà il suo ruolo e il suo copione da clown tragico fino all’ultimo, non mollerà l’osso neanche per un attimo, logorando così il suo partito che verosimilmente vedrà (ironia della sorte) una scissione nordista, e tirando la volata alla neofascista Meloni.

Bel lavoro Matteo. Sentiti ringraziamenti.

 

(4 ottobre 2020)

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