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Salve, mi chiamo #Brexit e non sono cattiva, è che mi disegnano così

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David Cameron 02 Angela Merkeldi Mila Mercadante  twitter@mila56170236

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce nulla di quel che è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno.» Claude Juncker, 27 dicembre 1999, Der Spiegel –  http://www.spiegel.de/spiegel/print/d-15317086.html

«Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di gravi crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario. È chiaro che il potere politico ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile, conclamata» Mario Monti, 27 febbraio 2011, convegno all’Università Luiss Guido Carli –  https://www.youtube.com/watch?v=STEvyznA2Ew

 

Mentre Soros si affannava a comprare oro nessuno in Italia credeva che sarebbe successo, neanche gli euroscettici. Mario Monti secondo me se lo aspettava. Con un’espressione affranta e contrariata sul volto – già prima di conoscere i risultati del referendum – ha dichiarato in televisione che “Un tema come quello europeo non si può affidare al popolo”. Questa frase la dice lunga sul concetto di democrazia che gli europeisti coltivano con ardore quasi luciferino, ma il comportamento del premier britannico appare incomprensibile perfino a noi: Cameron è un conservatore, è un europeista convinto, com’è possibile che nel bel mezzo di una lunga crisi economica e di valori abbia deciso di chiedere ai cittadini se volessero continuare a soffrire ancora? Delle due l’una: o non era consapevole dei rischi che correva, oppure era posseduto e gli serviva un esorcismo: “Farage, esci da questo corpo”.

 

La morale della quindicesima puntata del dramma “Living in the eurozone” conserva una vena di comicità noir: mentre la Grecia con tanto di euro, miseria, troika, svendita dei beni, perdita di sovranità e premier comunista rimane nella UE, la Gran Bretagna esce non avendo l’euro, non avendo l’obbligo di rispettare la più parte dei vincoli che noi altri rispettiamo – Schengen compreso – e non avendo neppure un comunista al governo. Esce, prende il cartello “Non aprite quella porta” e lo getta per terra, varca la soglia e comincia a correre. Che fegato questi inglesi, un fegato da populisti, da gente rozza che ragiona con la pancia e che La Propaganda non è riuscita a redimere: eppure ce l’ha messa sempre tutta per terrorizzarli e per fargli credere che un’uscita dalla UE fosse impossibile per chiunque, pericolosissima, un salto verso l’ignoto. Questo ignoto tanto ignoto non è perché ci è stato descritto per filo e per segno e delinea uno scenario simile a quello attuale, almeno per alcuni degli Stati membri: povertà, disoccupazione, debiti insanabili, vulnerabilità, terrorismo. Questa prospettiva a lungo rimuginata rifiutata e temuta oggi la tocchiamo con mano e già possiamo scorgere un dato incontrovertibile: se ci impoveriremo ulteriormente sarà a causa degli speculatori che attaccano sempre le prede più deboli, ragion per cui al momento la borsa di Londra registra cali molto contenuti e la zona euro prende botte da orbi, con Italia, Spagna e Grecia in pole position.

 

La civiltà europea è stata grandiosa, forse il modello europeo ha rappresentato in passato nel mondo il miglior esempio di cultura, di democrazia e di convivenza civile. Tutto questo non è stato calpestato in poche ore dagli elettori inglesi che adesso in tanti si affannano a definire caproni e ignoranti ma da una triade, un’élite di esperti: FMI, BCE e Commissione europea.

 

Che cosa succederà? In Gran Bretagna probabilmente nulla che non possa essere risolto in un paio di anni. Vi saranno incertezze e periodi di assestamento da affrontare, del resto è normale quando si verificano cambiamenti importanti, ma gli esperti che fanno leva sulla paura sanno benissimo che esistono misure finanziarie, macroeconomiche e tecniche atte a gestire e a contenere i costi dovuti all’uscita di uno Stato dall’unione. Per quel che riguarda l’eurozona potrebbe andare peggio. La UE si disgregherà? E’ probabile, come è possibile l’esatto contrario: stavolta potrebbe riuscire a rafforzarsi dotandosi di poteri centrali, accentuando le sue caratteristiche di Sovrastato tutt’altro che democratico. L’accetteremmo senza fiatare se gli attacchi al sistema bancario e all’economia si protraessero per mesi.

 

Dopo la vicenda greca della scorsa estate si parlò a lungo della necessità di riformare la UE, di migliorarla. Movimenti e personaggi della sinistra europea – alcuni di essi noti sulla scena internazionale – promisero battaglie nonché la creazione di un’organizzazione politica in grado di riaffermare il primato della democrazia, della sovranità popolare e dei pricìpi egualitari. Dove sono finiti? Boh. Accadrà la stessa cosa anche stavolta: il solito fumo negli occhi per non affrontare la verità, vale a dire che non ci sarà mai la buona e bella Europa unita dei popoli finché esisterà la moneta unica, l’euro.

 

Stiamo pagando sin dalla seconda parte degli anni ’90 un prezzo altissimo per aver subìto l’imposizione di una moneta unica a cambio fisso nominale per tante economie diverse tra loro. L’euro non è altro che un marco travestito, e per equiparare la competitività dei paesi membri a quella tedesca senza poter operare deprezzamenti della moneta ci siamo impoveriti. Deindustrializzazione, aumento della disoccupazione, riduzione dei redditi e della spesa sono i traguardi che abbiamo raggiunto. Se una moneta non si può svalutare esiste soltanto un modo per far fronte alle crisi: l’austerità, il taglio dei salari. L’euro non è una moneta e basta: è stato concepito imperfetto apposta perché diventasse un mezzo perfetto per attuare un modello sociale, di modo che il devastante pensiero d’ impostazione neoliberista e mercantilista potesse agevolmente smantellare tutte le meravigliose conquiste sociali ottenute nei trent’anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, compreso il welfare che era il fiore all’occhiello delle democrazie avanzate. Romano Prodi durante un’intervista rilasciata giorni fa a La Repubblica ha pronunciato a questo proposito una frase terribile: “Ci siamo illusi che la gente si sarebbe rassegnata a un welfare smontato a piccole dosi.” Si, è vero, si sono illusi. La ggente se la tratti male e non la rispetti prima o poi ti si rivolta contro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(25 giugno 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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