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Il Cercopiteco: del Pacifismo Migrante e dell’Ignoranza Stanziale

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Pacifismo Migrante 00di Gianfranco Maccaferri  twitter@gfm1803

 

 

Nessuna parola di pace. Dal 13 novembre nessun politico nazionale e internazionale ci ha trasmesso parole di pace, di non violenza, di cultura della solidarietà e della sussidiarietà.

 

Nessuno ha elencato metodi non violenti efficaci, possibili, indispensabili per contrastare il potere mediatico, territoriale, terroristico dei nuovi e vecchi signori dell’orrore. Abbiamo assorbito solo parole di guerra combattuta, guerra asimmetrica, terrorismo, fanatismo religioso, bombaroli di quartiere, cinture esplosive, kamikaze, bombardamenti vendicativi, coalizioni per combattere, sconfiggere, distruggere…

 

Nessuno ha parlato di “stati canaglia” per definire i paesi nostri alleati che finanziano i signori dalle bandiere nere, nessuno ha proposto una coalizione per fermare il contrabbando di petrolio e l’esportazione di armi e di danaro verso i paesi nostri alleati che sostengono i “nostri nemici”. Certo nulla è semplice, nulla è certo, non esiste una risposta risolutiva, tutto è molto complesso, ma perché nessun giornalista ha posto questa prospettiva ai nostri capi di governo e preteso da loro una risposta?

 

In Italia l”iperbole dell’ignoranza e dell’islamofobia da parte di giornalisti e politici si è avuta nel loro entusiasmo per la dissociazione dalla violenza in nome dell’Islam dimostrata da qualche centinaio di musulmani (troppo pochi, troppo soli, senza l’appoggio dei politici italiani che ne reclamavano l’assunzione di responsabilità) scesi nelle piazze con lo slogan “Not in my name”, come se un italiano musulmano si dovesse sentire in dovere di esternare pubblicamente la distanza tra la sua vita, i suoi pensieri, il suo quotidiano dalle attività terroristiche di alcuni giovani fanatici nati e cresciuti nelle periferie di Parigi o Bruxelles.

 

L’analfabetismo sociale, intellettuale e giornalistico si dimostra onnipresente in tutte le testate nazionali quando le discussioni giungono sulla vita e le scelte estreme dei giovani terroristi europei (perché europei sono!): in un paese come l’Italia dove l’arruolamento alla violenza malavitosa è cosa quotidiana in molti quartieri di tutte le maggiori città, luoghi dove lo stato e l’ordine pubblico non esistono e i giovani senza una scuola decorosa, senza cultura, lavoro, futuro, si affidano alle organizzazioni criminali mafiose per essere “qualcuno”, per avere un futuro rispettabile nel contesto in cui abitano, ragazzi che impugnano armi sapendo che la loro vita può finire cinque minuti dopo… Ecco, in questo paese di violenta criminalità organizzata radicata nei sobborghi delle nostre città, i giornalisti nostrani con politici e tuttologi arroganti si continuano ad interrogare su come è possibile che nelle banlieux francesi il califfato nero riesca ad arruolare dei giovani, riesca ad essere seducente al punto di trasformare dei ragazzi in kamikaze pieni di odio verso la società che li ha allevati.

 

Il sommo del parlare del nulla si è avuto da parte di politici, commentatori, tuttologi e giornalisti che hanno proposto paragoni con il terrorismo brigatista italiano degli anni ’70 e ’80, di come questo “cancro” è stato sconfitto dalla mobilitazione popolare, dalla fermezza politica e dal lavoro di intelligence, dimenticandosi di citare lo stragismo di quegli anni, gli attentati con decine di morti civili ancora oggi senza mandanti, le complicità di alcuni settori dello stato, l’inefficienza palese dei servizi segreti italiani nel prevenire, contrastare, sconfiggere un terrorismo atroce che ha disseminato centinaia di morti innocenti nell’intero paese. Sulle stragi italiane di stato, di mafia, dei fanatici dell’estrema destra… silenzio!

 

 

In questi giorni non si è ascoltata nessuna parola sulla necessità di pacifismo quale arma determinante per sconfiggere la “guerra asimmetrica” combattuta contro la nostra quotidianità e quella guerreggiata quotidianamente in molti, troppi territori a noi apparentemente lontani. Nessuna parola è stata detta, scritta, suggerita o urlata sul pacifismo evidente che ci sta invadendo, che viene mostrato palesemente agli occhi degli europei in tutta la sua concretezza. Un pacifismo nuovo, un pacifismo migrante.

 

Milioni di giovani hanno deciso di non sparare, di non impugnare un’arma, si sono rifiutati di aderire all’Isis o all’esercito del dittatore di turno o a chi con le armi pensa di sconfiggere l’uno e l’altro. Milioni di giovani hanno scelto la strada della pace, hanno rifiutato la violenza, la pazzia religiosa, collettiva, politica, di potere. Milioni di giovani si sono schierati dalla parte della pace e stanno cercando luoghi in cui esercitarla. Milioni di ragazzi si sono messi in cammino per centinaia e migliaia di chilometri per cercare un luogo di pace dove vivere e costruire il loro futuro. Questi giovani sono i veri testimoni contemporanei di una cultura della non violenza.

 

E noi? Noi continuiamo a costruire muri fisici, culturali, ideologici per fermarli e diffidiamo di loro, delle loro intenzioni, dei loro pensieri, dei loro progetti. Quanto siamo miopi!

 

Perché nessuno riconosce o manifesta quotidianamente la loro scelta di rifiuto di impugnare un’arma? Il loro messaggio silenzioso ma incondizionato, autentico, vissuto, scelto perché sono stati costretti a scegliere, è quello che è anche nostro, di noialtri senza potere politico che dicendo “Not in my name” dimostriamo che un altro mondo non è impossibile. Perché c’è già.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(24 novembre 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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