di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Sul versante imprenditoriale, Silvio Berlusconi è sempre stato un uomo abilissimo. Egli stesso sa bene come, sotto questo profilo, il grado di stima che gli portiamo è sincero e radicato nel tempo. Ed è persino ‘sfrontato’, da parte nostra, provare a muovergli delle critiche in questo campo, dato che le nostre attività, benché economicamente sane, siano ancora a uno stadio di oneste ‘start up’ avviate da pochi anni. Tuttavia, da un punto di vista di ‘etica liberale’, il fatto che Mondadori sia interessata a rilevare Rcs libri e che, al contempo, il gruppo Mediaset abbia lanciato un’Opas per l’acquisizione delle frequenze televisive di ‘Rai Way’, segnala una tendenza al monopolitismo che giudichiamo piuttosto preoccupante. Ovvio che di ciò non se ne possa, più di tanto, fare una colpa alla famiglia Berlusconi, la quale giustamente tende a farsi gli affari propri. Ma sotto un profilo globale, la tipologia di mercato esistente in Italia appare francamente discutibile: passare da un capitalismo di Stato monolitico e sovvenzionato, a una forma di mercato duopolistico, dunque sostanzialmente ‘semilibero’, ha generato una sorta di ‘percorso all’incontrario’ in cui non si è affatto cercato di far nascere nuove aziende ‘dal basso’ secondo un modello microeconomico di concorrenza imperfetta, bensì si è finito con lo smontare ‘a fette’ un palazzo di venti piani, attraverso un processo di ‘spolpamento’ dall’interno di gruppi editoriali o di pezzi dello Stato. Un percorso ‘rovesciato’ che, ovviamente, ha finito col generare un distorto regime di oligopolio differenziato, in particolare nei comparti dell’editoria e della produzione televisiva. La legge Gasparri, tanto per citare un esempio, oltre a introdurre una tecnologica obsoleta, il digitale terrestre, che nei giorni di maltempo costringe utenti e telespettatori a bestemmiare in 14 lingue diverse, dal greco ‘attico’ allo swahili, non ha saputo far altro che fotografare l’esistente, poiché soltanto quei gruppi televisivi che erano già concessionari di una frequenza televisiva o radiofonica hanno potuto accedere ai vari canali per provare a formulare nuove produzioni di tipo ‘tematico’. Obiettivamente, si trattò di un passo in avanti, checché se ne dica. Anche se compiuto con l’andatura di un ubriaco, più che quella di una persona sobria ed equilibrata. Ma tant’è: in Italia, più di questo non si riesce quasi mai a realizzare, dato che, qui da noi, proprio non s’intende in nessun modo rinunciare a una logica di ‘lobbies’, conventicole e gruppi ristretti, i quali al di là dell’andare a ‘nozze’ con i ‘fichi secchi’ non sono in grado di fare. Si può anche prendere tranquillamente atto di un modello di mercato di tipo oligopolistico: non vi è nessun reato o colpa morale in questo. E la stessa differenziazione del prodotto, in linea teorica, potenzialmente può benissimo innescare processi positivi di innovazione e sviluppo. Ma quel che proprio non ‘torna’ è il fatto che, qui da noi, in molti di questi gruppi ‘ristretti’ possiedano diritto di cittadinanza impresari e produttori totalmente incapaci, ‘gentaglia’ insulsa più volte fallita o stracolma di debiti, dunque impossibilitata a effettuare nuovi investimenti. Anche in questo caso, dopo lunghi decenni di retorica ‘territorialista’ e provinciale, se si va a vedere come stanno o come si sono evolute le cose nei settori della produzione televisiva locale, si scoprono vicende di sprechi e ruberie, una povertà di spirito e di cultura imprenditoriale a dir poco dilettantesca. Siamo cioè di fronte a una delle tante ipocrisie italiane: in linea teorica, tutti si dicono favorevoli a un mercato televisivo ed editoriale composto da numerose aziende piccole e medie, in grado di offrire nuova occupazione a molti giovani volenterosi e preparati, ma poi, la realtà stessa nel suo complesso finisce con lo smentire tutti quanti, poiché sotto il profilo imprenditoriale essa risulta composta da gente che proprio non ne vuole sapere di uscire dalla ‘logica di Las Vegas’. Ovvero, quella di una città divertentissima e ricca di opportunità, ma completamente circondata dal deserto. Quello stesso deserto in cui sono costretti a vivere e a rimanere tanti giovani preparati e di sicuro talento.
(27 febbraio 2015)
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