di Daniele Santi
Duecentomila diranno gli organizzatori, sessantamila dirà la questura. Vogliamo pensare che fossimo duecentomila, forse leggermente meno, le persone che hanno partecipato al ventennale del Roma Pride aperto da Ignazio Marino e per la prima volta con il Patrocinio di Roma Capitale.
Noi che c’eravano sul nostro carro de Il Pride Quotidiano, e che avevamo dietro di noi una marea di gente festosa, allegra, danzante, sorridente, bella, giovane e meno giovane, gente alle finestre, e gente lungo tutto il percorso che salutava il Pride, abbiamo visto la vera forza del Pride.
E’ portatore di pace e di allegria.
Così che la tristezza delle Sentinelle, di Giovanardi, degli Integralisti che sono rimasti al Medio Evo quando ridere era proibito perché si mostravano i denti e questo ci rendeva simili agli animali, come se non fosse il cuore ciò che ci rende animali quando non sappiamo aprirlo agli altri esseri umani, diventa necessaria.
Diventa un mezzo per contrastare ciò che è inarrestabile. Diventa l’unico messaggio possibile per mascherare la perversione di voler guardare nelle camere da letto altrui. Di voler giudicare gli altri supponendo che chiunque sia ciò che noi pensiamo debba essere. Si chiama giudizio e fa così paura che è sempre meglio giudicare gli altri.
Soprattutto quando guardarsi dentro è scomodo, come i tanti integralisti parlamentari centrodestrosi e centrosinistrosi sanno bene.
La guerra nella società è già vinta, è quella con la politica che continua e vista l’inadeguatezza dei rappresentanti delle varie associazioni che armate d’ego più che di idee hanno gridato le loro incongruenze dal palcoscenico in discorsi lunghissimi, egopatici e politicamente raffazzonati, non stupisce affatto.
Il Pride 2014 è già alle nostre spalle.
Ite missa est.
(8 giugno 2014)
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