Se è vero che la loquacità cresce fino alla più folle esaltazione davanti al consenso o alla contraddizione, essa resiste però molto onorevolmente anche di fronte all’indifferenza e alla noia.
bo summer’s
EL HORNO
a cura di fabio galli
capitolo S
S’estende umilmente a raggiera simile al mare, Skeeen.
Sa di cadavere come tutti gli europei, e per molto tempo non ci si può abituare a questo puzzo insopportabile.
“Sa forse egli stesso di che cosa sono fatto, ammesso che io sia fatto di qualche cosa? Godz intende forse rimanere estraneo a tutta questa discussione, si lava le mani dei miei sbandamenti?!”.
“Sapete almeno chi vi parla così? Comunque, accogliete con la più grande benevolenza e stima un uomo che si presenta modestamente dicendo il suo nome, c’è, infatti, una certa nobiltà a offrirsi alle critiche come una vittima rassegnata.
“Saprete vivere da oggi in un mondo illuminato?” dice Skeeen.
Saranno molto sorpresi e, chissà, forse lusingati se Skeeen rivela loro che ha cercato di metterli sulla falsa strada attribuendosi pensieri contorti non tanto per paura della vergogna che avrebbe potuto provare al ricordo di quella vecchia risata, lacerante quanto una coltella, quanto perché aveva motivo di temere un’altra risata, e, con maggior esattezza, precisamente la loro risata, sì, la loro risata!… e via, e via, deve fare una dichiarazione estremamente ridicola, vuole dire che può prevedere con certezza che n on mancheranno persone male intenzionate che lo riterranno tale: ridicolo.
Scatta l’interruttore e si sente trattenere il fiato mentre scava il cammino verso il buco finché tocca la radice da cui germogliano sia il corpo sia l’anima, la storia oscura e finalmente riconosciuta: raddoppia il proprio potere e diviene sovrumana presenza.
“Scommetto che scuoti la testa” dice Skeeen “con il sorriso saputello di quello cui non la danno a bere, forse pensi che io adesso cerchi scampo nell’intimidazione, non essendo capace di uscire più abilmente dalle difficoltà? Allora, spetta a te provarmi che non sei di quelle persone impressionabili che si lasciano ingannare da grossolani raggiri”.
Scostumata e sontuosa la carne che lungamente s’accalda e suda di lussuria, agitata dalla lingua che piano scivola fino alle cosce rotonde.
“Se allora soffrivo ancora per quell’antico sorrise, non era tanto perché dovevo rinunciare a combattere per mancanza di nemici, quanto per il affatto di vedermi incalzato dappresso da nemici con i quali la ragione mi consigliava di non entrare ancora in lotta aperta, in mancanza di armi abbastanza efficaci da sgominarli, al massimo potevo ostentare, in loro presenza, un atteggiamento di provocazione e di rabbia pura o anche sferzarli con una risata perfettamente cortese… e via, e via, ma attingevo consolazione proprio dall’idea che quando fosse giunto il momento tanto desiderato di passare all’attacco, cioè quando fossi stato finalmente in grado di spiegare tutta la mia forza, la mia duttilità e la mia astuzia, allora avrei conosciuto l’ebbrezza della vittoria.
“Se ardi dalla curiosità di venirne a conoscenza” dice Skeeen “ti avverto che ti stai preparando a una bella delusione, perché, con buona pace delle persone sventate, pronte a credere che io sia dotato di una memoria senza cedimenti e che sia legittimo aspettarsi da me un esatto resoconto dei miei gesti e fatti, se è vero che ho promesso, una qualche volta che non ricordo quando, di studiare coscienziosamente e senza sotterfugi tutto il complesso meccanismo delle mie crisi, non ho però l’ambizione di riferire tutto, compreso quel che non ho mai saputo, non dipende da me che le cose più importanti mi sfuggano, che dico, mi siano sfuggite solo quando avrei potuto così facilmente afferrarle.
“Se avessero allora cercato di strapparmi alla dolce vertigine che tale contemplazione mi procurava, forse avrei reagito violentemente per istinto di difesa, rispondendo alle domande più inoffensive con parole o gesti pungenti, a costo di rammaricarmene e di scusarmene in seguito.
“Se credono di farsi beffe di me, saranno beffati”.
“Se da tutto questo” dice Skeeen “risulta chiaramente che appartengo alla categoria di quelle persone che sono chiamate fetish, libero chi ascolta di indignarsene, ma chi vi assicura che io non mi lasci trascinare dalla mia immaginazione? Fornitemi la prova che dichiaro la verità… e via, e via, come dite? Questa bugia non mi gioverebbe? E se mentissi per il piacere di mentire e mi piacesse di raccontare questo invece di quello mettiamo, una bugia invece di una verità, cioè esattamente quello che mi passa per la testa, e se non chiedessi di meglio che essere giudicato in base a una confessione falsa, insomma supponete che mi fosse infinitamente piacevole compromettere la mia reputazione?”.
Se è vero che la loquacità cresce fino alla più folle esaltazione davanti al consenso o alla contraddizione, essa resiste però molto onorevolmente anche di fronte all’indifferenza e alla noia.
“Se l’oggetto del mio esame è un po’ vicino ai miei gusti” dice Skeeen “mi concedo appena il diritto di valutare, con uno sguardo il fascino, il fascino dei suoi polpacci prima di passare al viso che interrogo appassionatamente e sul quale, in genere, posso decifrare, senza sforzo, lo scatenarsi di peluria ovunque e di un ardore provocato dal suo corpo durante il ballo, dall’atmosfera dominante o dalla speranza di una conquista e che produce anche a me estasi e vertigine, perché come il riflesso folgorante del sole su una superficie perfettamente bianca colpisce lo sguardo molto più crudelmente della percezione diretta del sole, così lo spettacolo del pelo altrui deve, penso, il suo potere contagioso e il suo valore emotivo al fatto che quel pelo, per lo splendore di cui ammanta la carne di un viso adornato, fa parte del campo, per noi assolutamente convincente, dell’esperienza ipersensibile… e via, e via, ma quando il mio sguardo, frattanto, incontrò, quella volta, quello suo mentre ballava con un uomo di statura ridicolmente alta, col naso adunco e i capelli rossi che formavano due onde disuguali da ciascun lato di una scriminatura impeccabile, tagliata nel mezzo dalla visiera di un berretto incollato quasi alla nuca: ebbi immediatamente la sensazione riconfortante che in quella sala ci fosse ancora qualcuno che, sotto una maschera impassibile, si nutriva segretamente del piacere degli altri, con un’avidità non meno febbrile e metodica della mia: se non riuscii a staccare immediatamente lo sguardo da quello che non sembrava, d’altronde, oltremodo a disagio per l’interesse che, complice l’ubriachezza e la noia e il suo pelo che mi attraeva, gli manifestavo con un’insistenza forse scorretta, fu perché i suoi occhi, il suo viso e tutti i suoi modi risaltavano curiosamente per nulla vicino a quello degli altri che ridevano e lanciavano sguardi o esibivano disinvoltamente le cosce snudate da cortissimo hot pants, senza stancarsi di apostrofare al femminile questo o quello con una libertà di linguaggio autorizzata soltanto dalla natura particolare del luogo e dai gusti volgari della clientela”.
Se ne sta in piedi a filmare con gli occhi la scena davanti alla fessura d’entrata della dark, e intanto ascolta il calpestio dei piedi che si affrettano alla porta.
“Se non rinunzio completamente a evocare quest’atmosfera, benché il romanticismo un po’ facile cui inevitabilmente essa dà luogo” dice Skeeen “e benché io stia sempre attento a superare ogni preoccupazione di pittoresco, significa che, secondo me, essa ha avuto una parte importante e che non potrei, senza commettere un arbitrio, passarla sotto silenzio.
“Se qualcuno troverà la cosa poco divertente, peggio per lui.
“Se sono stato il primo a rendere evidente la parte avuta dallo stato di eccitazione in cui mi avevano messo tutti i bicchieri di birra, piuttosto numerosi, che avevo buttato giù, asserisco e sosterrò a qualsiasi costo che sarebbe assurdo esagerarne l’importanza, che i miei discorsi non erano per nulla discorsi da ubriaco e che non contenevano nulla d’incoerente che avrebbe potuto dare adito a risate o anche solo a sorrisi”.
“Se uno è troppo bravo a fare una cosa, finisce che dopo un po’” dice Skeeen “se non ci sta attento, si mette a calcare la mano.
“Sebbene in generale mi dimostri incapace di compiere la benché minima prodezza o anche di comportarmi con sangue freddo di fronte ad un nemico di forza superiore o soltanto pari alla mia, stavolta mi rimettevo coraggiosamente di fronte a un pericolo reale, come se, liberato da qualsiasi timore o almeno facendomi un punto d’onore di superarlo, mi fossi giudicato di stazza adeguata a misurarmi con un avversario del quale ignoravo perfino il nome, quando la prudenza mi avrebbe consigliato, di starmene fermo su quella panchina, dove ero sicuro che non avrebbe potuto vedermi”.
Seguendo i dettami della moda della stagione, sta cambiando le sue pelurie da bionde a bianche, che volteggiano in una stanza arredata con un tavolo in nudo legno, uno sgabello e un orologio da muro fermo da chissà quanto.
“Sei matto?!” dice e sorride.
Sei una stella, qual è il tuo nome?, mia stella splendida” dice e sorride.
“Sei una stella, una grande stella, e questa stella rischiarerà per sempre la mia vita, mi proteggerà” dice e sorride.
“Sei veramente tu?” dice e sorride.
Sembra che due api siano perennemente posate sulle punte dei suoi capezzoli.
Sembra di percepire i profili di due corpi.
Sembra tutto in calore, lo strappa via bruscamente da sopra il suo palo, e gettandosi su, senza minimamente preoccuparsi della merda, che sporca anche lui, s’infila la banana su, con un gran sospiro di soddisfazione.
Sempre di più, fino a far penetrare il membro in erezione tra le sponde pelose delle sue chiappe ampiamente aperte.
Sente al tatto i contorni delle braccia, l’accavallarsi delle gambe sulla sling.
“Sentii il sangue gelarmisi quando vidi le sue ginocchia tremare sotto il pantalone grigio chiaro che gli fluttuavano larghi sui piedi.
“Sentivo l’odore sottile e ghiacciato dell’acqua” dice Skeeen “sentivo il torrente, e il ponte si vedeva adesso nitidamente, con le sue linee rigide e scintillanti, nella penombra macchiata di luna.
“Sentivo nell’aria un profumo di disastro”.
Senza cuore per sentire il battito del furore del fist che snoda il lento morire nelle ore del tempo innamorato.
Senza potere vedere nulla, Skeeen intuisce scritte ricavate nel muro, figure di corpi stranamente connessi fra loro.
Senza rispondere, lo fa coricare, scopre le gambe e, infilando la lingua in bocca, distrugge.
Senza rispondergli, lo fa coricare, gli alza le gambe e, infilandogli la lingua in bocca, distrugge la sua verginità.
“Senza sapere con precisione a quale delle due categorie mi rivolgo, ritengo comunque che non sia troppo chiedere agli uni e agli altri di ostentare la più grande serietà, una perfetta impassibilità, non ho detto una comprensione completa, o, in mancanza di questo, uno sdegnoso silenzio accompagnato, non ci vedo nulla di male, da una maestosa alzata di spalle, insomma mi si capirà se dico che non ho tanto bisogno di complicità, di approvazione, di rispetto, d’interesse quanto di silenzio? Ah il silenzio! Allora, volete credermi se ho la spudoratezza di proclamare proprio a questo punto la mia insuperabile avversione per i maniaci della confessione? Questo riempirà, sì, di felicità un certo numero di poveracci che tentano nell’ombra di farmi cadere in contraddizione e di confondere qualche innocente che un’interpretazione coscienziosa, se non molto attenta, delle narrazioni precedenti, aveva disposto a pensare il contrario e già li sento approfittare per chiedermi, gli uni con un sorriso iranico, gli altri levando le braccia al cielo, a quale genere di attività io pretenda dedicarmi da un certo tempo a questa parte” dice Skeeen.
Sonda come un bolide, proprio al centro.
Sgorgato da un universo senza sesso e senza sangue, non degradato, però da nessuna delle tare caratteristiche di quanto è esangue e scarnito: incantesimo che oppone la sua guancia aerea all’abbattimento di animale ferito.
Sguardo insaziabile.
Si accarezza i capezzoli perforati facendosi il solletico, per cui scoppia a ridere, ma diviene molto serio quando gli mette in mano un membro duro, grande e lungo.
Si agita freneticamente per sgusciare fuori di sotto il bancone, ma per la retta vi sbatte contro la testa.
Si alza e si aggira barcollando per El Horno, imprecando sommessamente e tenendo la mano destra stretta sotto l’ascella sinistra, mentre con l’altra si comprime la tempia destra.
Si consumano, nel cielo del soffitto, le nubi e le dolci labbra – quella stessa sensazione che, in simili circostanze, ai ragazzetti è nota – osano, gli dèi, d’ignorare le sue tenerezze preoccupate.
Si contrae nuovamente, trema.
Si crede insaziabile, ma quando ha sentito ben quindici volte la calda espansione del suo retto, deve offrirgli il suo stanco membro perché possa soddisfarsi, oppure, troppo stanco anche per questo, prende il suo stesso arnese in bocca e lo succhia da contorsionista fino a quando non smette.
Si ficca un cigarillo tra due denti e lo abbassa all’altezza dell’accendino del barista, respira qualche boccata di fumo che poi proietta verso il soffitto, la sua espressione si è addolcita e i suoi occhi tradiscono una certa soddisfazione con un che di pretenzioso, pure riprende la parola in questi termini “scommettiamo che non sapete indovinare il mio mestiere” dice “sei uno sportivo” dice azzardando timidamente uno dei due “in effetti” dice rispondendo placidamente “ogni tanto mi capita di praticare un po’ di sport, mi piace correre ma soltanto nelle gare riservate ai dilettanti… e via, e via, no, non hai indovinato, sono uno studente” “in botanica?” dice chiedendo l’uomo, cercando di fare uno sforzo d’irrazionalità “non male, non male come battuta” dice rispondendo con un tono di superiorità “no, studio genetica” dice e ride e l’altro aggiunge “studi cosa?!” e tutto a un tratto, interessato, il barista tenta di inserirsi nella conversazione “davvero ti occupi di genetica?” dice e ripete “davvero?”. Segue una breve pausa, solo un leggero brusio testimonia della vita intellettuale delle persone presenti.
Si gira, lo guarda, aspetta.
Si lascia cadere su una poltrona da cinema porno, emettendo flebili lamenti.
Si mescola umidità da stanza da bagno.
Si muove convulsamente, qualcuno, sopra, si sta agitando.
Si prepara alle lacrime, a tutte le composizioni possibili che riuscirà a riprodurre – conferito l’incarico suo – seppur marcite e calde di putrefazione.
Si ricorderà che, con una modestia che poteva benissimo essere presa per eccessiva ostentazione, non ha mancato di sottolineare la volontaria nudità del suo pensare, e che era il primo a dolersi ipocritamente del fatto che una sua certa monotonia fosse l’inevitabile prezzo dell’onestà.
Si siede su una poltrona di cuoio, non lontano da un piccolo tavolo ingombro di persone.
Si soddisfano con un pezzo di marmo giallo, lavorato ai due capi a forma di membro.
Si strugge nel muro bianco – troppo caro il lutto suo, e prezioso e allucinato prima che consumato – come un fanciulletto allunga la mano a sentire la pioggia della doccia e i suoi capelli tristi, molto tristi, danno i suoni che producono gli schiaffi.
Si volta di scatto.
Sì!, è signore.
Sì!, è sovrano.
Sì.
“Sì, devo riconoscere di non esser più tanto sicuro che qualcuno mi ascolti” dice Skeeen.
“Sia come sia, questo era chiarissimo: mentre entrando al Traveller’s, ero soltanto un personaggio sconosciuto e trascurabile, adesso godevo di una certa considerazione da parte di persone che in generale rispettano e ammirano soltanto chi è più potente di loro, e da questa constatazione traevo una sensazione di smisurato orgoglio che non è stato certamente estraneo al fatto che la mia crisi, al contrario delle precedenti, abbia assunto un carattere di ostentazione tanto più sorprendente in quanto ho sempre ritenuto insopportabile l’esibizionismo degli altri.
“Siamo due morenti, io e Godz, che cercano ancora un po’ di piacere sulla terra prima di trovarci all’inferno” dice Skeeen.
“Sicché avevo ragione di considerare quella risata come una giusta sanzione per essermi scoperto impudicamente con discorsi che con cupa violenza mi rimproveravo adesso di avere pronunciato davanti a un pubblico così vasto e di qualità tanto mediocre.
“Sicché mi sono esercitato a rimanere sordo a quanto” dice Skeeen “esaltando apparentemente la mia sensibilità, faceva di me solo un assurdo piagnone ma ahimè! Sono troppo emotivo”.
“Sicché misi il primo annuncio sull’allora nascente rivistina, la meno patinata di tutte, di quelli tipo trentenne, superdotato, peloso, cerca coppia depravata, e così, come mi era stato consigliato, allegai una foto del cazzo in erezione e il mio numero di telefono… e via, e via, è subito seguito uno scambio di foto, d’informazioni, di domande che allora trovavo ovviamente imbarazzanti, ma il gioco era cominciato e così da un momento all’altro mi ritrovavo catapultato in una realtà parallela” dice una voce al tavolo accanto.
Sicché, se avessi un po’ di fantasia, sarei costretto a parlare di tutt’altro che di me.
Sputa addosso in piena faccia, è davvero fuori di sé, Skeeen e il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio che gli sta di fronte non dice niente.
Sta con un biondo di prima qualità, il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio, fumando come un turco e con l’aria di annoiarsi a morte.
Sta per uscire per sempre da El Horno, il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio.
Sta per uscire per sempre da El Horno, il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio, si trova davanti un nero che è una montagna, il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio sferra al nero un destro che è una bordata, un vecchio regolamento di conti, si direbbe, gli rompe la maschera in due pezzi e gli fa saltare metà del naso nero, perde sangue il naso nero, il nero, appena vede il fiotto del suo stesso sangue, comincia a urlare “aiuto, che schifo, aiuto, che impressione, aiuto mi viene da vomitare” dice e poi molto velocemente si butta in ginocchio e si dimena.
Sta pisciando tenendoselo con le mani sul viso del nero il metro e cinquanta di pallore, pelosi riccioli e silenzio, e il crisco l’ha perso, è caduto da qualche parte nella dark.
Stagna, pesante, o di vent’anni o di più, nel corridoio interno di El Horno, e si spande come per aprirsi deciso all’olfatto di chiunque il puzzo di piscio rancido.
“Stavolta mi capitava di mentire” dice Skeeen “era solo per permettermi in seguito di farne umile confessione: certo, avevo una spiacevole tendenza a raccontare frottole per nasconderla e ciò significa che non ero mosso da cattive intenzioni… e via, e via, si poteva fare affidamento su un uomo così visibilmente preoccupato di non cadere nel difetto più o meno comune a tutti di camuffare la verità della propria tendenza?
“Stavo per alzarmi e fuggire, quel giorno alla Fossa, quando scorsi un’ombra che, a qualche passo da me, nascosta dietro un cespuglio, sull’altro lato del viale terroso, tastava costantemente con la mano nella tasca del suo jeans, a masturbarsi.
“Stelle di lussurie estreme e notturne!” dice Skeeen.
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