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Premio Minerva a Masoumeh Ebtekar, le ragioni di un premio: nostra intervista

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Masoumeh Ebtekar 01di E.T.  twitter@iiiiiTiiiii

Nei giorni scorsi ci siamo espressi contro la decisione del Premio Minerva di conferire l’onorificenza alla Vicepresidente iraniana Masoumeh Ebtekar, a causa della situazione delle donne nel paese, delle leggi che le considerano “la metà” degli uomini, di episodi di violenza, discriminazione, di veri e propri – dal nostro punto di vista – “omicidi di stato” dei quali la vicepresidente iraniana non può essere inconsapevole.

Abbiamo chiesto agli organizzatori del Premio Minerva di concederci una intervista per chiarire le ragioni dell’assegnazione del premio ad Ebtekar. Le nostre domande non hanno fatto sconti e nemmeno le risposte del Premio Minerva. Ne è nata una vivace intervista utile a riflettere sia sul nostro che sul loro punto di vista.

Eccola di seguito:

Innanzitutto due parole sul Premio Minerva, come nasce?

Nell’83 il Premio viene istituito dal Club delle Donne, su una idea e iniziativa della sua fondatrice Anna Maria Mammoliti, femminista e socialista. Un premio intitolato alle donne che hanno raggiunto posizioni di rilievo o svolgono funzioni sociali significative e ciò allo scopo di sollecitare le migliori energie femminili a favore della collettività, stimolandone un positivo spirito emulativo. Un tocco originale e al tempo stesso provocatorio rispetto al femminismo classico sta nel fatto che il Premio Minerva prevede anche un riconoscimento ad un uomo distintosi per l’attività svolta a favore delle donne. Un anno prima era nato a Roma, il 6 maggio 1982, il Club delle Donne, composto da donne che si riconoscevano nelle passate esperienze femministe, donne di lotta e di impegno nel politico, ma anche donne impegnate in una silenziosa guerra privata.

Per il 2014 è stato assegnato alla vicepresidente iraniana Masoumeh Ebtekar. E’ stata una scelta politica?

Secondo tradizione, anche nella recente XXV edizione del Premio, i premi assegnati nella sezione Donne del Mondo sono stati due: il premio ai Diritti Umani e il premio all’Impegno Politico. Il primo è andato alla storica attivista umanitaria tunisina Khadija Cherif, l’altro, il premio all’ Impegno politico, alla iraniana Masoumeh Ebtekar. Dovrebbe bastare a chiarire.

C’era consapevolezza che Ebtekar rappresenta un regime che discrimina ferocemente le donne?

Se non ci fosse un approfondito lavoro di scouting nella ricerca delle donne da premiare il Premio non avrebbe acquisito il prestigio che ha. Ci perdoni, ma le faccio notare che il nome della Vicepresidente dell’Iran è Masoumeh Ebtekar, non Ebkatar, di certo un involontario refuso (avevamo erroneamente scritto Ebkatar, per non sbagliarci avevamo copiaincollato il nome dal sito di oppositori del regime iraniano in esilio, c’è andata male, ndr).  Si tratta di una donna numero due del Governo Rohani, governo internazionalmente considerato riformatore e interlocutore dell’Occidente. Riformatore, non nel senso nostro, ma nel contesto storico e attuale della realtà dei Paesi mussulmani. Contesto, nel caso Iraniano, in cui la Legge è rappresentata dal conservatore e autonomo potere Giudiziario.

Sapevate che in Iran chi attacca le donne con l’acido (360 attacchi negli ultimi 12 mesi) non viene condannato, ma solo pubblicamente e moralmente disapprovato?

Non solo pubblicamente e moralmente, ma anche politicamente. Lo scorso ottobre il Governo iraniano ha infatti lanciato una dura campagna “contro i criminali che attaccano le donne con l’acido”, e se ne è fatta promotrice e portavoce la Vicepresidente Ebtekar, che si è recata in ospedale a trovare una delle vittime. Ne è piena la pubblicistica internazionale, e lo ha raccontato in una intervista al Corriere della Sera anche Nasrin Sotoudeh, una delle poche avvocato iraniane impegnate in casi d’alto profilo sui diritti umani e politici in Iran. Sappiamo, insomma, tante cose sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, compreso l’ Iran. Lo sappiamo per esperienza diretta: Minerva non profit, che gestisce il Premio, svolge da anni un’attività internazionale a tutela e affermazione dei diritti delle donne in Paesi di conflitto o difficile transizione democratica: Iraq, Yemen, Libia, a breve in Afghanistan. L’esperienza ci insegna che l’aiuto è più efficace dello sdegno e della denuncia.

Pochi giorni prima della visita di Ebtekar in Italia una giovane che aveva ucciso il suo violentatore è stata impiccata all’età di 26 anni. Ne eravate al corrente?

Ne ha parlato tutto il mondo, e la giuria del Premio non è fuori dal mondo. Ci siamo associati all’universale denuncia e al dolore per quell’orribile delitto di stato. Basta leggere minerva online. Senza ignorare che la giustizia in Iran e in molti Paesi islamici è il principale covo del risorgente medioevo religioso, autonomo e spesso contro la politica. Come qui da noi, la morte di Cucchi e la sentenza non sono attribuibili a Renzi o al Presidente Napolitano. O no?

Non pensate che l’attribuzione del Premio Minerva a Ebtekar vada contro le finalità stesse del Premio che viene conferito, citiamo testualmente, ad “esemplari modelli femminili per le loro capacità professionali e per i valori positivi di cui sono portatrici”?

Niente di più coerente alle finalità del Premio Minerva l’aver dato il premio all’Impegno politico ad una autorevole donna islamica, dell’ala riformatrice e dialogante, impegnata sui temi cruciali della pace e dell’ambiente, al vertice di una Repubblica islamica dove i diritti negati alle donne sono di sicuro una vergogna inaccettabile ma dove è in corso uno feroce scontro dei riformatori contro i fondamentalisti, la cui aggressività settaria in Iran, e in gran parte del mondo islamico, come già detto, è annidata soprattutto nel sistema giudiziario. A meno di non essere dalla parte di chi lavora, anche involontariamente, per il suo contrario: ossia chiudere le porte in faccia a ciò che si muove a fatica in Iran e nel mondo islamico, come sta facendo il governo Rohani, la sua Vice e il loro sia pur lento, incerto cammino di pace e dialogo con l’Occidente, valga per tutti la trattativa ancora aperta sul nucleare. Il meglio è nemico del bene: soprattutto quando si consegna il Premio Minerva all’impegno politico di una donna mussulmana in un contesto di drammatici conflitti religiosi e di involuzione estremista, dall’Isis ad Al Qaeda al Califfato dalle lugubri bandiere nere e dalla sua ambizione di conquistare i popoli mussulmani ad una causa farneticante.

Di quali valori positivi è secondo voi portatrice Ebtekar, vicepresidente di un paese le cui leggi definiscono la donna “la metà dell’uomo”?

Da alcuni anni prestiamo molta attenzione alle donne islamiche che hanno visibilità e ruolo nei rispettivi Paesi. Ci muove la convinzione che occorre compiere ogni sforzo per riallacciare le relazioni e raggiungere intese politiche sulle grandi e gravi questioni della pace, le sole condizioni che possono fare riprendere il dialogo internazionale anche sui diritti umani in Iran, come ci fu in passato e come auspichiamo sia possibile in futuro. L’ Iran sottoscrisse la Carta della dichiarazione dei diritti umani nel ottobre 1945, dieci anni prima dell’Italia, che aderì nel 1955. Nel buio di questa fase cruciale in Medio Oriente che si riflette sul mondo, il premio alla Masoumeh Ebtekar è un piccolo faro di luce e di speranza sulle relazioni e le conseguenti possibilità che si apra anche un futuro per i diritti delle donne iraniane.

E’ Ebtekar parte delle “donne più o meno osteggiate dal potere dominante” che citate sul vostro sito web o è piuttosto una rappresentante complice di quello stesso potere che discrimina le donne in Iran?

Non sappiamo cos’altro aggiungere a quanto finora detto. Soltanto un accenno storico: l’Italia democratica ha abolito obbrobri legislativi, giuridici e sociali soltanto negli ultimi decenni: il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, nel 1981, per fare un esempio. Se lo immagina se, prima del 1981, una organizzazione non profit europea o americana avesse premiato la prima presidente della Camera, Nilde Iotti, e quel premio fosse stato contestato perché in Italia vigeva l’abominevole legge sul delitto d’onore e il matrimonio riparatore e tante altre violazioni dei diritti delle donne? Mutatis mutandis, vale a maggior ragione per contesti istituzionali storicamente ben più arretrati, oggi al centro di conflitti drammatici che mettono a repentaglio la stabilità del mondo.

Alla luce di tutto questo con quale criterio le avete assegnato il Premio Minerva?

Beh, speriamo le sia chiaro.

Senza ombra di pentimento?

Pentimento? Scherza. Per noi, il modo più concreto per affermare i diritti umani e civili, a cominciare dalle donne, è non solo denunciare, cosa che non smettiamo mai di fare su scala mondiale (senza tacere su ciò che succede in Italia, femminicidio, disparità perduranti, forme di tortura nelle carceri, eccetera), ma pensiamo sia soprattutto quello, con idee e azioni, di tenere aperto il dialogo con personalità femminili straniere meritevoli, a cominciare da quelle che occupano ruoli di spicco nei governi e nelle istituzioni dei Paesi islamici. Crediamo sia la strada giusta per costruire e, se si preferisce, sperare di costruire… Insomma, noi siamo tra coloro che scelgono l’ago per cucire le relazioni tra l’Occidente e l’Islam e non le forbici per stagliarle. E le donne restano le migliori sarte del cambiamento culturale e politico del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(2 dicembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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