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Roma Pride e Onda Pride La conferenza stampa che servì solo per far dire alle associazioni “Io valgo”

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Roma Pride Eventidi Alessandro Paesano

Per chi non lo sapesse le conferenze stampa sono degli incontri tra chi organizza un evento e la Stampa (quotidiani, tv, radio e web) alla quale si chiede di darne notizia.

Così quando stamane sono andato alla conferenza stampa del Roma Pride  gemellata con L’onda Pride, in Campidoglio, ai Musei Capitoli, alla sala Pietro da Cortona, tra i quadri del trecento italiano, nella mia doppia veste di militante e giornalista (sono solo parole, io sono e rimango la vostra modestissima inviata) pensavo di trovare tanti colleghi e colleghe della stampa mentre ho incontrato solo amici e amiche di militanza.

C’era chi ti guarda e decide se salutarti o meno a seconda dell’importanza presunta delle persone con cui ti accompagni, chi non ti saluta perché troppo presa a organizzare la conferenza stampa, chi ti saluta nonostante sia preso a organizzare la conferenza stampa, chi per te non ha che parole di riguardo (“Ma sei dimagrito…” “Si vede?” “No, scherzavo”)…
Insomma passa parecchio tempo prima che, di saluto in saluto, ci si accorge che l’ora di inizio della Conferenza è stato abbondantemente superato e siamo oltre i quaranta minuti di ritardo.

La stampa se c’era, se ne doveva già essere andata via…

Adesso, sarò grassa ma non ingenua, conosco benissimo i motivi di quel ritardo, se ne sarebbe accorto anche una inviata di primo pelo, bastava guardare le facce di Andrea Maccarrone, di Imma Battaglia o di Leila Deianis, vi risparmio però l’avvilente resoconto dei retroscena dove presidenti di associazioni si alzano la mattina presto, non è un modo di dire, e senza averne autorità alcuna decidono di inserire delle nuove persone tra quelle che intervengono in conferenza stampa, i cui nomi sono in realtà già stati collegialmente stabiliti da tempo, insistendo fino all’ultimo (ora capite il ritardo?) per far parlare chi non avendo le mani in pasta, tanto per il Roma Pride quanto per l’Onda Pride, a parlare alla conferenza stampa c’azzecca come la vostra grassa inviata a un convegno sulla magrezza…

Poi final – fucking – mente la conferenza stampa inizia e parla subito Alessandra Cattoi Assessora alle pari opportunità del Comune di Roma, più un’altra manciata di mandati (Politiche di promozione della famiglia e dell’infanzia; Politiche educative e scolastiche; Politiche giovanili e rapporti con le Università; Asili nido; Programmazione interventi di edilizia scolastica; Affari generali; Coordinamento attività per le relazioni con l’UE) che è troppo lungo dirli tutti e Andrea Maccarrone, che fa gli onori di casa, la presenta decidendo di abbreviarle la portata delle deleghe e Cattoi che invece di rivendicarle tutte si pasce della delega accorciata alle sole pari opportunità alle quali dice di tenere particolarmente tanto valeva avesse detto mi interessano solamente le pari opportunità mica i mocciosi e le scuole ma me li hanno dati e mi tocca cicarmeli.

Cattoi ci dice e si dice che il Comune ha fatto molto (Settimana Rainbow, il tavolo lgbt tra comune e associazioni, memorabili!) anche se si poteva fare di più e lo si farà perché l’impegno del Comune ci sarà per tutto l’anno.

Poi parla Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Giunta Regionale del Lazio e assessore alla Formazione, università, scuola e ricerca, che spiega, lui, etero in mezzo a un consesso di lesbiche gay trans e bisex, che cosa significa il Gay Pride – appena ne avrò occasione gli spiegherò come rimorchiare le donne così siamo pari – ricordando, proprio come Cattoi, che la Regione Lazio c’è  (un po’ come dio…).

Insomma questa conferenza stampa serve intanto alle due istituzioni che hanno dato il patrocinio morale (cioè gratuito, nemmeno un soldo) al Roma Pide (7 giugno) e al Pride Park (3-6 giugno) per guadagnare con le parole e pochi fatti una verginità gayfriendly nel paese più omofobo d’Europa.

Un paese talmente omofobo che Cattoi non riesce nemmeno a pronunciare la parola rivendicazioni e la sostituisce con richieste (riven… richieste) con il beneplacito di tutte le associazioni coinvolte (quelle del coordinamento Roma Pride), che, come foche dello zoo, per pochi fetidi pesci sbattono le pinne per la gioia dell’infanzia, però lo fanno per tutto l’anno vuoi mettere!

Il peggio di sé lo danno le associazioni tutte che sono lì non per spiegare alla stampa, se c’era, chi sono i froci le lesbiche e le altre persone dell’acronimo lgbtqai, e che cosa diamine vogliano (che ancora nessuno lo sa d’altronde se ve ne restate nella tranquillità delle vostre camere da letto nessuno vi strilla dietro travone di merda e che vi hanno detto mai!?!? È proprio vero i gay son sensibili…) ma sono lì a dire che si sono stufati e che vogliono tutto (ehm) e che ci vediamo fuori dove, al bar o davanti le porte del cesso?

Dopo venti anni in cui il movimento non è riuscito a ottenere nulla le associazioni sono ancora tutte lì a confermare che per altri venti anni faranno altrettanto, cioè niente.

E poi giù a sbattere le pinne sennò i bambini e le bambine non si divertono e chiedono indietro i soldi del biglietto dello zoo.

La stampa, che sarà anche cialtrona e disinformata ma non masochista, se ne va alla spicciolata già a partire dalle 13 e 15 (la Conferenza finirà alle 13 e 50).

Nessuno degli intervenuti, quasi tutti maschi, accenna a un qualche contenuto politico che si possa dire tale stiamo a sentirci dire che in uno dei 13 Pride dell’onda non ci sono i carri perché inquinano, o che oltre ai gay e le lesbiche e i trans (sic!) oggi ai Pride partecipano anche le famiglie e le persone anziane (perché i gay e le lesbiche son tutte single giovani e belle… Hai mai visto un gay vecchio?).

Ma cos’è ‘st’onda Pride e che c’azzecca con il Roma Pride?

In Italia fino allo scorso anno questo bel coordinamento frazionato in mille associazioni decideva la città in cui si svolgeva il Pride nazionale.

Una invenzione tutta italiana visto che non c’è in nessun altro Paese occidentale.

Parigi ha il suo Pride come Lione ma nessuno pensa a rivendicare il proprio Pride come quello Nazionale. Là dove le associazioni della città hanno le capacità organizzative di fare il Pride se ne fa uno.

Nazionale
in Italia vuol dire che ci si mobilita e si sostiene solamente quello. Gli altri Pride si arrangiano.

Tra chi vorrebbe il Pride Nazionale sempre a Roma che – dopotutto – è la capitale d’Italia e chi invece lo vorrebbe itinerante, al nord al sud – e le isole? – dall’anno scorso si è lasciato a Roma il suo Pride e tutte le altre città si sono consorziate in un Pride seminazionale chiamato Onda Pride, una ola frociarola che di pride che si svolgeranno a Torino, Milano, Venezia, Bologna, Perugia, Napoli, Lecce, Catania, Palermo, Alghero, Siracusa e, per la prima volta, a Reggio Calabria.

Questo è stato spiegato durante la conferenza stampa? Nooooo! Ve lo spiega la vostra inviata che le cose le sa perché oltre a essere inviate è anche militante altrimenti…

Certo in questa fiera delle vanità dove ognuno interviene da dietro il tavolo per dire io esisto (no caro tu respiri ma in quanto a esistere…) tutti uomini tranne Cattoi, Claudia Torresani di Lista Lesbica e Leila Deianis, ogni tanto qualche concetto interessante a dire il vero si sente, come il fatto che le persone lgbt non chiedono diritti speciali ma l’accesso ai diritti che sono già disponibili che sono loro negati, ma sono diluiti in un birignao zeppo di Io Io Io manco fossimo nel film di Blasetti.

E quando si spiega in maniera ultrasintetica – che ormai si son fatte quasi le due – il ricco e interessante programma del Pride Park romano siamo rimasti in pochi e quei quattro tra giornalisti e giornaliste presenti sono già a mangiare.

Ci stiamo dunque ridicendo le cose che facciamo, che per quello basta facebook..

Un’altra occasione mancata magari per ricordare alla stampa di non raccontare i Pride mostrando sempre le solite trans (e in conferenza nessuno che si sia scomodato a ricordare che furono le travestite newyorkesi come Sylvia Rivera a lanciare una scarpa col tacco alto (o era una bottiglia?) contro la polizia stanche dei soliti soprusi…) invece di trastullarsi con le dimensioni dell’ego di questa o quell’associazione.

Intanto a frocio resta ancora il primo insulto del Paese.

Chissà mai poi perché.

 

 

 

 

(28 maggio 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

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