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Chiediamo scusa, per chi era l’avviso di sfratto?

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di Daniele Santi

La lettera di avviso di sfratto deve essere arrivata all’indirizzo sbagliato, almeno questo hanno indicato i dati della partecipazione ai referendum – falliti, Landini lo ha detto senza nascondersi dietro un dito – ammesso che lettera di sfratto ci fosse e ammesso che sia stata spedita.

Con il solito pochissimo stile tutto italiano ora è la solita partita a ping-pong della serie “Ho vinto io” versus “No hai perso tu” e viceversa. Inaffrontabili. Se questo è il livello della proposta politica, se la comunicazione pre e post richiesta di buttare tempo per andare a votare (a questo si riduce l’invito a non votare che arriva dalle alte cariche istituzionali, e dalla più alte!) è questa, non stupisce che a votare gli Italiani non vadano più.

E  poi tutti a sgolarsi su chi ha torto e chi ha ragione come se non sapessimo, tutte e tutti, qual è il livello di reattività rispetto alle decisioni dei cittadini della nostra politica. Come se non sapessimo, tutte e tutti, che invece di intervenire sulle criticità che i referendum evidenziano, i differenti schieramenti da tifoseria si fossilizzeranno (come se non fossero morti a sufficienza) sulle loro inutili cazzate a difesa del territorio dove dominano. Come se non sapessimo, tutte e tutti, come gli editorialisti di ogni colore, schema e formazione, con una faciloneria raccapricciante, sui risultati per dare il loro parere richiesto dall’Editore, ma non necessariamente dal lettore (come quello che si è inventato che siccome poco meno del 35% di chi ha votato il referendum sulla cittadinanza ha votato No, gli Italiani non vogliono gli stranieri, come se una simile superficialità potesse essere giustificata da un voto referendario). Come se non sapessimo tutte e tutti, e la chiudiamo qua, che lo strumento referendum, così come è strutturato, si ammanta di voto popolare per evitare di intervenire sulle fragilità del sistema perché è più comodo fare tabula rasa che rendere decenti leggi spesso incomprensibili e norme inapplicabili (per tornare alla cittadinanza, bisognerebbe intervenire sulle procedure e sul sistema farraginoso che portano i termini di conferimento della cittadinanza ben oltre i 10 anni – spesso a 13 o 14 – andando oltre un limite che è, secondo chi scrive, aderente alle leggi italiane e alle condizioni sociali del nostro paese).

Insomma se una lettera di sfratto dovesse essere inviata, andrebbe indirizzata a una classe politica intera che dal 1994 con la scusa di riformare, mantiene inalterato e blindato un sistema che serve alla classe dirigente, ma lascia completamente sguarniti i cittadini di ogni mezzo atto a contrastare uno stato che non funziona più e dei cittadini se ne frega.

 

 

(10 giugno 2025)

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