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Taglio dei Parlamentari e altre non riforme: intervista esclusiva a Lorenza Morello

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di G.G. #Interviste twitter@gaiaitaliacom #Lorenzamorellocè

 

Sul taglio dei parlamentari abbiamo voluto sentire l’opinione della nostra Lorenza Morello, che, come sempre senza remore, ci ha detto la sua.

Dottoressa, che ne pensa della votazione sul taglio dei parlamentari che tanto plauso pare aver suscitato nell’opinione pubblica?
Mi spiace deludere o smorzare gli entusiasmi, ma lo ritengo l’ennesimo colpo di teatro di un Paese che, in realtà, poco vuole fare per cambiare davvero se stesso.

Ci spieghi meglio…
Non c’è dubbio che il nostro sistema vada riformato, lo si dice da sempre e, almeno apparentemente, lo si è tentato di fare più volte, e più andiamo avanti e più il ritardo è colpevole. Ma il taglio dei parlamentari, così effettuato, è la risposta? E’ evidente che non lo è.

E allora cosa servirebbe?
Una riforma davvero utile sarebbe, tra le altre, il superamento del bicameralismo.

Ma ieri, su Twitter, il Presidente Conte ha dichiarato che questa sarebbe stata una giornata storica per l’Italia “Approvato dal Parlamento il ddl costituzionale per ridurre il numero dei parlamentari. Una riforma che incide sui costi della politica e rende più efficiente il funzionamento delle Camere. Un passo concreto per riformare le nostre Istituzioni.”
Non dubito che un tweet di questo genere possa aver fatto breccia nel cuore di molti, così come è vero che ogni taglio è utile e che “da qualche parte bisognerà pur cominciare” ma siamo così sicuri che questo taglio sarà reale e non nominale?

Si spieghi meglio…
Tutti i nostri lettori ricorderanno sicuramente il grande dibattito e le grida di giubilo sulla vicenda del “taglio delle Province”. Ebbene, Al di là delle dichiarazioni da propaganda, il disegno di legge “svuota province” promosso dall’allora ministro Graziano Delrio, e approdato ai passi finali in Parlamento, è stata una finta riforma, molto più caotica e dannosa della situazione precedente.
Il dibattito nella stampa ha molto enfatizzato alcuni veri e propri slogan, per smentire i quali bastava semplicemente leggere il testo del disegno di legge e i suoi allegati.
Le province non sono state abolite. È la prima illusione della propaganda: la legge non eliminava affatto le province, che restano operanti, non proprio “vive e vegete”, ma restano.
Si sono estinte solo dove si prevedeva il subentro delle città metropolitane. Ma, di fatto, hanno finito sostanzialmente per cambiare nome, poiché le città metropolitane hanno acquisito tutte le funzioni oggi di competenza delle province, aggiungendone poche altre. È cambiata solo la leadership, in quanto il sindaco metropolitano coincide con quello del capoluogo. Con evidente espropriazione per i cittadini della provincia della rappresentatività elettorale, perché gli elettori che hanno eletto il sindaco per risolvere i problemi di una città, finiscono per incidere direttamente anche sulle questioni amministrative di altri centri abitati.

Insomma, non le va bene niente!
Beh, se venite a chiedere il mio parere, l’unica cosa che posso fare è esprimermi senza mezzi termini.
Il Parlamento costa troppo, i parlamentari sono troppi, la macchina legislativa è lenta e inefficiente: questo è certo. Nell’epoca del post ideologismo, dell’assenza dell’Idea e del trionfo del senso pratico, a uscire decisamente indebolita è la concezione della politica che può fare a meno dei grandi riferimenti ideologici e delle visioni di insieme. È il trionfo della ricerca del consenso, della propaganda come fine e della deresponsabilizzazione come bussola dell’azione politica, ora ridotta a semplice amministrazione. Il “taglio delle poltrone”, così come raccontato all’opinione pubblica, si inserisce perfettamente in tale contesto.

Ma il taglio dei costi di cui tanto si sente parlare…?
È stato uno dei cavalli di battaglia dei proponenti è il risparmio dei costi per le casse dello Stato. Anche qui però le cifre sparate un po’ ovunque (Di Maio ha parlato di 500 milioni a legislatura) non sembrano molto precise. Il senatore Malan ha calcolato che il risparmio complessivo determinato dal taglio dei parlamentari sarebbe di 61 milioni l’anno, cifra simile a quella calcolata per la riforma Renzi – Boschi, stimata in 50 milioni l’anno. In effetti, la riforma non incide né sul personale, né sulle spese correnti di funzionamento delle Camere, né sui trattamenti previdenziali (almeno non nel breve termine).
Dunque il semplice taglio dei parlamentari determinerebbe risparmi sulla quota per indennità, spese per esercizio di mandato e rimborsi spese vari di senatori e deputati. Ma questa è una cifra minima rispetto ai circa 975 milioni di costo della Camera dei deputati e ai 550 circa di costo del Senato. Questo perché la mera riduzione del numero di parlamentari non è affiancata dalla revisione dei processi e delle strutture che determinano la spesa maggiore per le casse dello Stato e non è da escludere che, per gestire una mole di lavoro maggiore e spostamenti più ampi, il costo per singolo parlamentare post riforma possa aumentare.

Insomma, uno specchietto per le allodole…
Posto che credo fermamente, come ho già detto e come ribadisco, che il sistema vada riformato profondamente, che ciò che è stato varato ieri possa essere un primo passo non lo confermo ne’ lo escludo, ma stona un po’ nel contesto in cui si inserisce (oltre alle mie perplessità strutturali e amministrative di cui ho accennato). Tanto per fare un esempio del “contesto”, l’ufficio stampa e del portavoce di Giuseppe Conte ha in organico 7 persone per un costo complessivo di 662 mila annui, di cui 169 mila vanno al portavoce Rocco Casalino. Secondo in classifica il governo Letta, che contava 7 persone nello staff comunicazione per un costo totale di 629mila euro annui e con il portavoce pagato 140mila euro. L’esecutivo di Paolo Gentiloni poteva invece contare su una struttura di sette persone per un costo di 525 mila euro. Più complesso il calcolo per il governo di Matteo Renzi: appena insidiato il team dell’ufficio stampa si basava su 4 persone e un costo complessivo di 335mila euro. Ma alla fine del mandato i costi erano saliti fino ai 605mila euro per un organico di sette persone.

E come velocizzazione dei processi?
Anche dal punto di vista della “velocità” ed “efficacia” del lavoro del Parlamento in seguito alla riduzione dei componenti è lecito sollevare qualche dubbio. Questo perché la riforma non interviene sui meccanismi istituzionali, non intacca il bicameralismo perfetto, non modifica i rapporti col governo, né (ovviamente) incide sui regolamenti parlamentari e sulle dinamiche interne alle Camere. Il tempo medio di approvazione di una legge nella XVII legislatura è stato di 237 giorni, con un legame diretto fra la volontà politica del governo e la celerità del via libera del Parlamento: anche senza considerare i decreti, consideriamo che le 46 leggi di iniziativa parlamentare hanno richiesto in media 504 giorni l’una (quasi un anno e mezzo), le 195 leggi di iniziativa governativa sono state approvate in media in 172 giorni, neanche 6 mesi. La riforma non migliora questi meccanismi perché, non solo non interviene direttamente nei meccanismi del bicameralismo, ma aumenta anche il carico di lavoro per il singolo parlamentare e per il suo staff, con il rischio che a sconfinare sia ancora più spesso il governo.

 

 

(9 ottobre 2019)

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