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Un’aria talmente pestilenziale che basta una debole miccia per far esplodere la realtà

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di Silvia Morganti

Le famose gogne erano allestite nelle piazze di mercato e negli incroci per detenere criminali di poca importanza. Spesso un cartello era appeso al collo del malfattore, o nelle vicinanze, con l’iscrizione del delitto e della pena. La pena della gogna durava generalmente poche ore o qualche giorno. La gogna più comune restava comunque il ceppo: la vittima, imprigionata mani e piedi, veniva esposta in piazza alla folla, che scherniva e umiliava il malcapitato e ne faceva bersaglio delle proprie tensioni.

La piazza si è trasformata nei social e la folla in utenti che ancora necessitano di una modalità triviale per esternare le proprie tensioni.

Treccani riporta: gogna /’goɲa/ s. f. [prob. aferesi di vergogna]. – 1. (stor.) [collare di ferro che si poneva stretto alla gola dei rei esposti al pubblico ludibrio]. 2. (estens.) [luogo dove il reo veniva esposto e la pena stessa: condannareessere esposto alla g.] ≈ berlina.

Espressioni: fig., mettere alla gogna [esporre qualcuno allo scherno e al disprezzo altrui] ≈ mettere alla (o in) berlina, (volg.) sputtanare, svergognare.

E proprio su questa espressione figurativa volgare mi vorrei soffermare, perché la sete di giustizia tanto millantata altro non è che banale sputtanamento.

Probabilmente persone come Selvaggia Lucarelli se non seguissero tale prassi non riuscirebbero a arrivare a fine mese. È un lavoro anche questo, dopotutto. Non voglio analizzare in questa circostanza la dimensione umana, etica e deontologica di tale pratica. Anche perché penso che tutti ci rendiamo conto (e mi auguro anche lei) di quanto sia agghiacciante e pericolosa la detenzione del potere nelle mani di un singolo pronto ad armare un esercito di proseliti.

Posto che per lei la necessità sia quella di far quadrare i conti, l’urgenza dei suoi follower, invece, da dove nasce esattamente?

Sono realmente paladini della verità che a tutti i costi reclamano che giustizia (popolare) venga fatta? Perché sembra, scorrendo i commenti lasciati sotto i post rivelatori della Signora Lucarelli, che la loro necessità sia semplicemente quella di giudicare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. In base a quali criteri è da accertare – la rilevanza è, a quanto pare, trascurabile. E, quando il giudizio popolare emette il verdetto di condanna, la milizia di odiatori si arma. Il nemico è irrilevante, ciò che è veramente essenziale è l’occasione di poter umiliare il malcapitato e farne bersaglio delle proprie tensioni.

Questi soldati che combattono sul campo di battaglia social, perlopiù in completo anonimato, dimenticano volontariamente che la loro conoscenza dell’obiettivo si riduce ad un nominativo e una presunta condanna. Perché spesso niente altro viene ricercato sul malcapitato. In fondo altro non serve sapere. Soprattutto se la capofila ha ritenuto non ci fossero altri elementi da considerare per una ovvia e già compiuta sentenza.

Questo piccolo (?) esercito mostra e dimostra quanto l’odio sia presente nel nostro quotidiano. Un odio scatenato da frustrazione, povertà, invidia, diffidenza, paura.

Un odio alimentato dalle scelte del governo sempre più mirato nel lasciare indietro gli imperfetti. Ricordiamo la riduzione delle risorse per la disabilità di 50,2 milioni di euro rispetto al 2023, il mancato rinnovo in legge di bilancio del Fondo per il contrasto dei disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, il mancato accesso, per la maggior parte della popolazione, alle prestazioni sanitarie a causa delle liste d’attesa troppo lunghe derivanti dal mancato adeguamento finanziario del Servizio Sanitario Nazionale, la sempre più precaria questione abitativa (azzerato il Fondo Sostegno Affitto, aumento esorbitante dei mutui), senza parlare dell’inesistente protezione nei confronti della comunità LGBTQIA+. Questi sono solo dei meri esempi di quanto questo governo si impegni nel non aiutare i più deboli riducendo le disuguaglianze.

«I padri non avevano il diritto di allevare la prole, ma dovevano portare i figli in un luogo chiamato “esche” dove sedevano gli esperti capi delle tribù che osservavano il neonato; il quale, se era di buone fattezze e di corpo robusto, comandavano che fosse allevato, assegnandogli una delle novemila famiglie; se invece era malato o deforme lo mandavano alla ”Apoteta”, una rupe presso il Taigetto; come se né per lui stesso né per la città tornasse utile tenere in vita un essere qui fin dall’inizio la natura aveva negato saldezza di corpo e salute». (Licurgo XVI, in Plutarco, Le vite parallele)

E chi vuole essere gettato da quella leggendaria rupe? Ma non dobbiamo dimenticare che trattasi di leggenda e che corre l’anno 2024.

Il vortice di odio e violenza comunque si fa sempre più tangibile. Tanto da poterlo fermare, entrarci, abitarlo. E l’aria è talmente pestilenziale che basta una debole miccia per far esplodere la realtà. E per far implodere una esistenza.

Ma, come si è riusciti a trattenerlo, è possibile farlo passare oltre. Forse cambiando condottiero e armando un esercito di imperfetti. Forse.

 

(17 gennaio 2024)

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